Boris Johnson si è dimesso da leader del partito conservatore inglese. E, nel discorso di addio, ha detto che resterà in carica come primo ministro fino alla nomina del nuovo leader dei Tories, in autunno. Si dice rammaricato di non poter veder realizzati i progetti sul tavolo. Ringrazia per l’immenso mandato popolare ricevuto nel 2019, assicura il sostegno all’Ucraina e a un nuovo esecutivo per garantire continuità governativa in un periodo storico difficilissimo.
Un dramma personale
Ma, soprattutto, Boris Johnson si dice dispiaciuto di lasciare il lavoro più bello del mondo. Più che politico, la sensazione, nonostante l’energia positiva di facciata, è quella di assistere a un dramma tutto personale. E appare singolare che in un Paese che ha inventato molti sport, dal calcio al tennis, dal rugby al cricket, dal golf alle freccette, il principale esponente della vita politica attiva non sia capace di perdere.
Perché alla base di tutto, alla base del destino di un intero paese che fu regno, c’è la difficoltà di un leader, dimissionario obtorto collo, di accettare la sconfitta. Lo hanno cacciato di peso, con ogni pressione possibile, non ultima in ordine di tempo l’ammutinamento di una sessantina di deputati, perché di sua sponte, forse, non se ne sarebbe mai andato.
Il peccato originale
BoJo è uscito dal gruppo perché, suo malgrado, hanno smesso di credergli. E questo è stato il limite che si è colpevolmente superato e dal quale non si poteva più tornare indietro: nel mezzo di una crisi spaventosa, quando parli di livellare la società ma tu poi non sei capace di livellarti, allora il gioco si rompe. La gente non ti segue più.
I conservatori lo hanno capito e a loro volta sono impegnati a salvarsi la pelle. A parte le figure di primo piano che hanno lasciato il tavolo anzitempo, è l’abbandono di seconde linee conservatrici dalla lunga tradizione di famiglia, che in alcuni casi supera il paio di generazioni, a dare il senso profondo della frattura che si è creata. A rischio è la connessione con l’elettorato di provincia, perché il Regno Unito non è solo Londra, come la Brexit ha insegnato.
Il nuovo corso e l’importanza delle opposizioni
Gli scandali sessuali, in fondo, sono stati solo un’occasione per regolare i conti. Ora si volta pagina, garantiscono. La gara per la leadership del partito conservatore è aperta. I primi sondaggi danno in netto vantaggio Ben Wallace, ex soldato e attuale ministro della difesa, in quello che sembra un saggio dei tempi che verranno.
Se c’è una lezione politica da tenere a mente in questa storia è l’importanza delle opposizioni, che negli anni sono risultate evanescenti e poco incisive. La caduta di Johnson, infatti, è stata progressiva e le perdita di storici fortini conservatori nelle ultime elezioni suppletive è stato solo il segnale che i tempi erano ormai maturi per mettere una parola fine. Ma quello che è seguito è somigliato più a un regolamento di conti interno in stile mafioso, come qualche commentatore radiofonico si è spinto a dire, più che essere figlio di una sana dialettica democratica.