Peggiora lo stato di salute del tessuto imprenditoriale italiano. Secondo l’analisi aggiornata dell’Osservatorio Rischio Imprese di Cerved, tra il 2021 e il 2022 le società a rischio di default sono cresciute quasi del 2%, passando dal 14,4% al 16,1%, raggiungendo le 99.000 unità, con 11 miliardi di euro in più di debiti finanziari ora pari a 107 miliardi. Restano lontani i picchi del 2020, quando le aziende potenzialmente a rischio erano addirittura 134.000.
Le imprese fragili si trovano soprattutto al Sud, dove costituiscono addirittura il 60,1% del totale, aggravando il già ampio gap con il Nord del Paese: le province con i peggioramenti più significativi sono infatti Isernia, il Sud della Sardegna, Matera, Foggia e Cagliari (ma anche Roma), mentre quelle con la maggiore quota di aziende a rischio sono Crotone, Terni, la stessa Isernia, Reggio Calabria, Messina, Siracusa e Cosenza. “Le stime si basano sull’analisi dell’andamento di 618.000 società di capitale nel periodo 2019-2022 – commenta Andrea Mignanelli, amministratore delegato di Cerved – valutato attraverso il Cerved Group Score, un indice di rischio che calcola le probabilità di default delle aziende in chiave prospettica.
Le tempestive misure di salvaguardia adottate durate la pandemia hanno contribuito a mettere in sicurezza il sistema, e il forte rimbalzo delle performance economiche legate agli effetti del PNRR ha portato a disegnare scenari migliorativi. Tuttavia, le condizioni subentrate nei primi mesi del 2022 – l’aggravarsi dei rincari delle materie prime e il conflitto russo-ucraino, seguiti da inflazione, aumento del costo del debito, phasing out delle misure di sostegno – hanno purtroppo minato la capacità di tenuta di un sistema produttivo già debilitato”.
I macro-comparti più impattati risultano le costruzioni (dal 15,2% al 17,6% di società a rischio) e i servizi (dal 14,9% al 16,7%); a livello più disaggregato, i settori più colpiti rientrano nei servizi non finanziari (in particolare ristorazione e alberghi), nei trasporti (gestione aeroporti) e nell’industria pesante (siderurgia). Anche tra i primi 10 settori con la più alta quota di imprese a rischio, otto appartengono ai servizi: trasporti aerei (41,2%), parrucchieri e istituti di bellezza (37,8%), distribuzione al dettaglio nel ramo moda (36,4%). Quanto poi alle dimensioni, il peggioramento è più consistente tra le microimprese (dal 14,9% al 16,7% in area di rischio) e le piccole (dall’8,0% al 9,9%), già maggiormente colpite dalla pandemia e più esposte agli effetti dei rincari.