Lo studio “L’Italia delle Imprese” rivela che l’aumento del costo delle materie prime è per gli imprenditori italiani il fattore di crisi che più degli altri impatterà negativamente sulle prospettive e i programmi di sviluppo economico nel biennio 2022-2023.
L’indagine è stata condotta su 1.800 aziende italiane appartenenti a dieci differenti settori merceologici, realizzata da Allianz Trade in collaborazione con Format Research. I nuovi scenari, emersi dopo l’invasione dell’Ucraina, hanno ridisegnato i contorni economici e sociali del nostro Paese, imponendo alle Imprese di rivedere la rotta della loro strategia rispetto alla direzione e alle scelte intraprese con il rilancio post-Covid.
Il rimbalzo del Pil italiano registrato nel 2021 – un record rispetto alla quasi totalità degli altri membri dell’Unione – ha subito, infatti, la doccia fredda della guerra, dell’aumento dei prezzi delle materie prime e naturalmente dell’accresciuto costo dell’energia e non stupisce che, secondo il 76,5% delle imprese intervistate, l’impatto sul fatturato sarà rilevante.
Le difficoltà a far fronte ai fattori di crisi (materie prime, costi energia e crisi delle catene di fornitura) si trasformeranno in un aumento del prezzo dei prodotti per quasi il 60% delle aziende intervistate, alimentando così la spirale inflattiva che già oggi è sotto gli occhi di tutti. Quanto durerà questa crisi è la domanda che tutti si pongono ma ovviamente nessuno conosce la risposta, anche perché in gran parte dipenderà dagli esiti del conflitto in Ucraina e dall’impatto che questo avrà sull’economia globale. In Italia un quarto delle imprese si aspetta che entro la fine dell’anno questi fattori di crisi possano essere contenuti, mentre, quasi il 60% delle imprese ritiene che gli effetti negativi si protrarranno per tutto il 2023.
Non stupisce quindi che, dopo diversi anni di relativa quiete, si riaffacci il “rischio del credito”, quindi, il rischio di insolvenza dei creditori, che già oggi può essere previsto assistendo al peggioramento dell’indicatore, che rivela i ritardi nei pagamenti.
Le imprese che hanno visto aumentare i tempi di pagamento da parte dei propri clienti sono risultate nel 2022 il 17,1% di cui oltre il 27% (ritardi oltre 30 giorni), il 37% (ritardi fino a 60 giorni), il 16% (ritardi fino a 90 giorni), e quasi il 20% (ritardi superiori ai 90 giorni). Le insolvenze aziendali delle imprese sono rimbalzate rapidamente nella seconda metà del 2020 dopo la riapertura dei tribunali e sono rimaste a un livello piuttosto elevato nella prima metà del 2021, portando a un notevole aumento nel 2021 (+21% a 7.160 casi) nonostante una dinamica più leggera nella seconda parte dell’anno, che si è rivelata più “estesa”, per quanto riguarda i settori. Il 2022 è iniziato con un numero mensile di insolvenze basso, al di sotto dei valori del 2021 e del 2019. Si prevede un rimbalzo nella seconda metà del 2022, che porterebbe a un aumento del +6% per l’intero anno e a una maggiore trazione nel 2023 (+21%).