Se un tempo il problema era come nutrirsi, oggi le cose non sono molto diverse. È solo cambiato il concetto di fame. Il cibo che mangiamo è infatti responsabile di un terzo delle emissioni globali di gas serra. E siccome molti di noi si pongono un problema di sostenibilità, il punto diventa come modificare le nostre diete.
Chilometro zero: falsi miti e verità
Non è semplice. Per esempio, grande appeal ha avuto il richiamo politico del mangiare a chilometro zero. Se da un lato è vero che così diamo un contributo all’economia locale, dall’altro non è detto che questo abbia poi un impatto positivo sull’ambiente. Anzi.
Per esempio, produrre un pomodoro o un cetriolo ha un impatto maggiore che trasportare un casco di banane dal Sud America. L’errore che si commette è quello di pensare che il cibo che arriva dall’altra parte del mondo viaggi in aereo, quando questo è vero in meno di un caso su 100, conferma un’analisi della rivista Science.
Oppure, prendiamo il cioccolato. Bonus track delle nostre giornate, quella barretta è in realtà uno dei prodotti meno ecosostenibili in assoluto, ci dicono dall’Università di Manchester, a causa delle materie prime utilizzate, dell’uso di energia e delle caratteristiche degli imballaggi.
Sul fronte ittico, poi, gli esperti hanno visto come pescare e congelare crostacei abbia un’impronta maggiore di quella derivante dalla produzione di carne di maiale. Più precisamente, al chilo, i gamberi congelati sono responsabili di circa tre volte le emissioni generate nella produzione delle costolette di maiale.
Per non parlare della pesca industriale o della produzione di carne bovina, notoriamente in cima alla lista delle produzioni con maggior impatto ambientale. Alternative potrebbero venire dal consumo di prodotti erroneamente considerati finora come ad alto rischio, come quelli a base di soia.
Serve una direzione chiara
Più in generale, sottolinea il Financial Times, avere una precisa indicazione su quale strada percorrere aiuterebbe e non poco i consumatori. La domanda c’è. Infatti, un recente sondaggio ha evidenziato come due terzi dei consumatori di Italia, Francia, Germania, Paesi Bassi, Spagna, Svezia, Regno Unito e Stati Uniti siano favorevoli all’etichettatura delle emissioni di carbonio sulle confezioni dei prodotti.
La Danimarca non ha perso tempo annunciando investimenti pari a un milione e mezzo di dollari per sviluppare proposte di etichettatura entro la fine dell’anno, diventando così una delle prime nazioni a farlo. Speriamo altre seguiranno presto.