Uno degli argomenti di stretta attualità nel dibattito sullo stato sociale in Italia sono le pensioni. Il Paese si prepara all’introduzione sul mercato previdenziale dei Pepp, ossia i Piani pensionistici individuali pan-europei, disciplinati dal Regolamento Ue 2019/1238, che ne prevede l’immissione, da parte degli Stati membri, dal 22 marzo 2022. La caratteristica del Pepp è la portabilità della posizione in caso di trasferimento della residenza in un altro Stato Ue e si potrà quindi continuare ad accumulare contributi nello stesso prodotto senza dover aderire a un Fondo pensione nel nuovo Paese di residenza.
Dagli anni 90 del XX Secolo, al primo pilastro pensionistico pubblico e obbligatorio, si sono affiancati il secondo e il terzo pilastro; ossia, le pensioni complementari negoziali, legate ai contratti di lavoro dipendente (secondo pilastro) e bancarie e assicurative (terzo pilastro). Meno di trent’anni dopo l’approvazione del Decreto Legislativo 124/93, che ha introdotto la previdenza complementare nel nostro Paese, gli strumenti pensionistici integrativi raccolgono – nel 2021 – un capitale di circa 213 miliardi di euro. L’urgenza è dunque quella di integrare in modo ordinato questi prodotti nel sistema esistente in Italia. Più in generale il recepimento di Iorp II (norme che regolano le attività e il controllo degli enti pensionistici) e la normativa Esg (investimenti sostenibili) hanno costretto i Fondi pensione ad interrogarsi e a misurarsi sulla loro capacità di dare risposte sempre più professionali ai bisogni degli aderenti.