domenica, 8 Settembre, 2024
Società

Anticipo per aziende in crisi. Quota 41 e Ape sociale

Dall’Ammortizzatore sociale all’Ammortizzatore pensionistico. È il percorso di un piano di aiuti messo a punto dal Governo per favorire una pensione anticipata per le maestranze di imprese in crisi. Si tratta di
un vero e proprio “ammortizzatore” introdotto dalla Legge di Bilancio 2022 per gli anni dal 2022 al 2024. Il percorso previdenziale è stato studiato per quelle categorie e per quelle aziende in difficoltà il cui orizzonte di lavoro e di sviluppo si è arenato. Si tratta di un sostegno a imprese di medie e piccole dimensioni che oltre a trovarsi in uno stato di crisi, sono tenute a raggiungere un patto per le uscite anticipate con i sindacati.

Verso la riforma

La nuova alternativa è un passo verso quella riforma della previdenza che appare sempre più una gara ad ostacoli. Se non si riuscirà a portare a termine un disegno più generale e complessivo, entro la fine di dicembre, la messa in campo di progetti come l’Ammortizzatore pensionistico, attenua le tensioni tra sindacati e Governo.

Un aiuto ai lavoratori

Entrando nel merito i lavoratori di aziende in crisi avranno una forma di pensione anticipata. La copertura economica c’è.
La Legge di bilancio ha previsto un impegno di spesa di 150 milioni per il 2022 e di 200 milioni per ciascun anno nel 2023 e 2024, che serviranno a coprire l’assegno provvisorio in attesa della pensione vera e propria. Si prevede che nei prossimi due anni potranno accedervi dai 10mila ai 20mila lavoratori.

Sostegno alle imprese

Da uno sguardo alla platea dei beneficiari questa è costituita da imprese che occupano dai 15 ai 250 dipendenti. Importante per far scattare il beneficio che il fatturato annuo non sia superiore ai 50 milioni di euro. Inoltre, fatto importante, che le imprese abbiano subito un calo dei ricavi del 30 per cento nei 12 mesi precedenti rispetto alla media del fatturato dell’anno 2019.

Il ruolo dei sindacati

In questo percorso una tappa importante è l’intesa che deve essere raggiunta con la firma di un accordo sindacale che deve prevede pre-pensionamenti su base volontaria. Si chiede al lavoratore con la tutela dei sindacati una accettazione in forma scritta.

Tre anni di sostegno

Il lavoratore in uscita anticipata avrà la garanzia di una indennità mensile pagata per non più di tre anni. L’importo dell’assegno sarà comprensiva della “Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego (Naspi) – una indennità mensile di disoccupazione – che viene riconosciuta ai lavoratori che abbiano i requisiti per accedervi.
Ne hanno diritto coloro che raggiungeranno entro il 31 dicembre 2024 l’età della pensione di vecchiaia, vale a dire 67 anni di età e almeno 20 anni di contributi, o l’età per la pensione anticipata cioè almeno 62 anni di età e 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne.

L’intervento dell’Inps

L’indennità sarà corrisposta dall’Inps per massimo tre anni e comunque fino a quando si maturerà il diritto alla pensione e si percepirà l’assegno pensionistico vero e proprio.
La domanda della pensione anticipata per le imprese in crisi andrà presentata all’Inps dall’azienda, almeno 90 giorni prima della data di risoluzione del rapporto di lavoro con i lavoratori coinvolti.
Per l’attestazione dei requisiti dei singoli lavoratori l’impresa potrà avvalersi di autocertificazione o auto dichiarazione. Sarà necessario presentare l’accordo collettivo ed un elenco dei lavoratori esodati.

Evitare il “rischio” Fornero

Mentre la navigazione dell’Ammortizzatore pensionistico seguirà il suo corso e nei prossimi mesi si vedranno i risvolti concreti, a torto o a ragione, si continua a parlare di riforma previdenziale e anticipo
pensionistico. Per evitare il ritorno alla Legge Fornero si valuta la possibilità di mettere a punto la “pensione a due tempi”. L’obiettivo è riuscire a trovare un punto di incontro tra la preoccupazione del Governo e dell’Europa sui costi delle pensioni e le richieste dei sindacati.

Così gli scenari di una prossima riforma si semplificano. In campo ci sono come ipotesi la possibile estensione Quota 41, – ossia 41 anni di contributi entro il 31 dicembre 2026 – l’idea è quella di prevedere delle agevolazioni per alcuni lavoratori, in particolare quelli che hanno iniziato in giovane età a lavorare e a versare i contributi previdenziali, e nel contempo riconoscere a più soggetti il ricorso all’Anticipo di pensione (Ape sociale) che ha una discreta dotazione finanziaria, non solo per il 2022; sono infatti previsti diversi scaglioni: 275 milioni nel 2023, 247,6 milioni nel 2024, 185,2 milioni nel 2025, 104,5 milioni nel 2026 e 16,9 milioni nel 2027. A Quota 41 e Ape sociale si affianca la proposta Inps

La “pensione a due tempi“

Il sistema su cui si basa la pensione a due tempi messa in campo dal presidente dell’Istituto nazionale di previdenza, Pasquale Tridico prevede un tipo di erogazione diversa dell’assegno a seconda del momento
in cui una persona decide di fissare l’uscita dal lavoro. Si tratta comunque di una forma di pensionamento anticipato, che riconoscerebbe l’assegno previdenziale al raggiungimento di: un’età anagrafica di 64
anni; 20 anni di contributi versati regolarmente allo Stato.

In questo caso verrà liquidata subito la pensione contributiva (pari cioè ai contributi versati) che sarà integrata poi da quella previdenziale (che comprende cioè tutte le tutele Inps e previdenziali spettanti al lavoratore). In caso di anticipo, l’importo varierà in “due tempi” diversi. Questo vuol dire, che “a partire da 64 anni” il lavoratore beneficiario può richiedere la pensione anticipata, ma la stessa richiesta potrà essere fatta anche a 65, 66 o 67 anni, ovvero prima del raggiungimento dell’età richiesta per la pensione di anzianità.

Il “compromesso” da accettare

La pensione a due tempi richiede un tipo di compromesso, sia da parte dell’ente erogatore sia da parte del contribuente. L’ammissione a tale tipo di trattamento, infatti, determina una decurtazione sull’assegno
pensionistico.
Più si attende per la pensione, maggiori saranno i contributi versati e quindi più alto l’importo erogato dall’Inps. Al contrario, il pensionato dovrà tenere conto che riceverà un minore importo per tutti gli anni che
lo separano dalla pensione di vecchiaia. Infine c’è da ricordare che si tratta ancora di ipotesi alcune delle quali già decise nei fatti e altre da rarificare con un accordo tra sindacati e Governo.

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