lunedì, 16 Dicembre, 2024
Attualità

Referendum sulla giustizia, conoscere per decidere

Il dodici giugno gli italiani sono chiamati alle urne per esprimersi sui referendum in materia di giustizia. I quesiti referendari sono cinque e riguardano la cosiddetta legge Severino, le misure cautelari, la separazione delle funzioni, la valutazione dei magistrati e le candidature al CSM.

Si tratta di referendum abrogativi, quindi, per essere validi è necessario raggiungere il quorum, ossia dovrà recarsi alle urne almeno il 50% più uno degli elettori. In caso contrario, il singolo referendum non avrà valore.

Votando sì si sceglie di abrogare le disposizioni normative in vigore, mentre votando no si decide di mantenere le norme nella loro formulazione attuale.

Procediamo con ordine e proviamo a spiegare i singoli quesiti.

Referendum n.1 (scheda rossa)Abrogazione del Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi.

Il primo quesito referendario è quello più delicato. Si riferisce alla legge Severino la quale prevede, tra l’altro, l’incandidabilità e l’ineleggibilità a qualsiasi carica pubblica per i condannati in via definitiva a pene superiori ai 2 anni di carcere per i reati di corruzione, concussione, collaborazione con la criminalità organizzata e/o organizzazioni terroristiche, nonché per delitti non colposi con pene dai 4 anni in su. La legge Severino prevede, però, anche la sospensione della carica per un periodo di 18 mesi in presenza di condanne non definitive oppure la decadenza a tutti gli effetti, in caso di condanna definitiva. La contemporanea sussistenza oppure la contemporanea abrogazione di queste due previsioni contenute nella legge Severino rendono il quesito di difficile soluzione.

Votando per il SÌ, si acconsente a rimettere al giudice la decisione, caso per caso, della incandidabilità e dell’ineleggibilità di un condannato per i reati che sono stati indicati sopra. Viene così escluso ogni automatismo in tal senso. Votando per il NO, rimane in vigore questo automatismo, ma si genera una problematica concreta sul fronte della sospensione di 18 mesi dalla carica, in particolare, nelle ipotesi di condanna non definitiva. Infatti, è frequente che le condanne in primo grado non trovino conferma nei gradi di giudizio successivi. Il rischio è quello di generare situazioni di paralisi o rallentamento nell’attività, specialmente per gli enti locali ed a livello regionale.

Referendum n.2 (scheda arancione)Limitazione delle misure cautelari: abrogazione dell’ultimo inciso dell’art. 274, comma 1, lettera c), codice di procedura penale, in materia di misure cautelari e, segnatamente, di esigenze cautelari, nel processo penale.

Il secondo quesito incide su due temi: 1) le misure cautelari e 2) la recidiva. È giusto ricordare che le misure cautelari sono misure preventive finalizzate a limitare la libertà di un imputato/indagato (custodia cautelare – ai domiciliari o in carcere) durante il processo (quindi in assenza di una condanna), ove sussista il pericolo di fuga, di inquinamento delle prove o di reiterazione dei reati.

La recidiva è intesa, solitamente, come una circostanza aggravante che consiste nella reiterazione di un reato da parte di chi è stato in precedenza condannato con sentenza irrevocabile. In questo caso, il concetto di recidiva si limita al rischio di ripetere un reato già commesso.

Fatte queste necessarie precisazioni, si può dire che, con questo secondo quesito, si chiede, votando sì, di escludere il “pericolo di reiterazione del reato” ai fini dell’applicazione delle misure cautelari a carico dell’imputato. Si deve considerare che, in Italia, un eccessivo ricorso alla carcerazione preventiva costituisce un problema reale e sul quale più volte ci si è interrogati. Dall’altro lato, si deve considerare che vi sono fattispecie di reato (si pensi alla violenza sessuale, alla truffa, allo stalking, ecc.) per le quali il rischio che l’indagato possa commettere nuovamente il reato mentre è sotto indagine non può essere sottovalutato.

Riassumendo: se si vota SÌ, si acconsente a che la custodia cautelare possa essere prevista solo in caso di pericolo di fuga o di inquinamento delle prove da parte dell’indagato. Votando NO, le misure cautelari continueranno ad essere disposte anche ove sussista il pericolo che il reato vengano nuovamente commesso.

Referendum n.3 (scheda gialla)Separazione delle funzioni dei magistrati. Abrogazione delle norme in materia di ordinamento giudiziario che consentono il passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa nella carriera dei magistrati.

Il terzo quesito concerne il tema della separazione delle funzioni dei magistrati, tra inquirenti (pubblici ministeri) e giudicanti (giudici), da non confondere con la separazione delle carriere. In questo caso, oggetto della richiesta di abrogazione è la possibilità per i magistrati di passare dal ruolo di pubblica accusa (pubblico ministero) a quello di giudice (giudicante), nel corso della loro carriera, anche più volte. Questo quesito implica che, a prescindere dalla funzione ricoperta, i magistrati appartengano, in ogni caso, ad un unico “corpo”.

Ove si scelga per il SÌ, il magistrato, ad inizio carriera, dovrà decidere se occuparsi esclusivamente della pubblica accusa e quindi delle indagini a carico di chi sia accusato di un reato oppure se svolgere il ruolo di giudicante (ruolo caratterizzato dalla terzietà e imparzialità) e cioè di decidere, emettendo la sentenza di condanne o di assoluzione sulla base delle prove raccolte e del contraddittorio. Con il NO, rimane, in capo ai magistrati, la piena libertà di svolgere le due distinte funzioni ora descritte, alternandosi fra di esse, per periodi differenti e anche in più occasioni nel corso della carriera.

Le ragioni del SI possono essere riassunte nella preoccupazione che un magistrato, avvezzo a svolgere il ruolo di accusatore, possa non garantire un approccio pienamente imparziale nel momento in cui si ritrovi nel ruolo di giudicante.

Referendum n.4 (scheda grigia) – Partecipazione dei membri laici a tutte le deliberazioni del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei consigli giudiziari. Abrogazione di norme in materia di composizione del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei consigli giudiziari e delle competenze dei membri laici che ne fanno parte.

Il quarto quesito riguarda, ancora una volta, la magistratura e, più precisamente, il sistema di valutazione dell’operato dei giudici. Attualmente, questa funzione è demandata ai Consigli giudiziari, istituiti presso ogni Corte d’appello.

Questi organi sono composti da magistrati, avvocati e professori universitari di diritto, ma soltanto i magistrati possono votare nelle valutazioni professionali degli altri magistrati. Con l’abrogazione della norma oggetto del quesito, si acconsente affinché anche gli avvocati e i professori universitari di diritto sedenti nei Consigli giudiziari possano esprimere il loro voto sull’operato dei magistrati.

Come è facile intuire, votando per il SÌ, viene attribuita rilevanza a dei membri “laici” di questi organi, introducendo l’influenza di soggetti esterni ed estranei alla magistratura sull’operato di quest’ultima. Con il NO, permane intatto il potere di autovalutazione della magistratura.

Chi vota SI intende ridurre quella che, da più parti, è stata definita una sorta di “autoreferenzialità” della magistratura. Chi milita per il NO, intende mantenere questa ulteriore garanzia di indipendenza della magistratura da influenze esterne che possano incidere, seppur indirettamente, sul suo operato.

Referendum n.5 (scheda verde) – Abrogazione di norme in materia di elezioni dei componenti togati del Consiglio superiore della magistratura.

Il quinto ed ultimo quesito oggetto del referendum riguarda il Consiglio Superiore della Magistratura. Si tratta dell’organo di autogoverno della magistratura. Lo scopo del CSM è quello di mantenere la magistratura indipendente rispetto agli altri poteri dello Stato. Questo organo gestisce le assunzioni, i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari dei magistrati. Si compone di 24 membri eletti per un terzo dal Parlamento e per due terzi dai magistrati stessi.

Secondo la normativa vigente, la candidatura al CSM necessita delle firme di almeno 25 magistrati che la sostengano.

Votando SÌ a questo quinto quesito, viene meno l’obbligo di raccogliere queste firme, potendo così presentare la candidatura pura e semplice. È ragionevole ritenere che la volontà di abrogare questa norma (quella che richiede le 25 firme di magistrati a sostegno della candidatura al CSM) sia riconducibile alla volontà di neutralizzare il c.d. fenomeno delle “correnti” all’interno della magistratura, facendo in modo che i magistrati che intendano candidarsi al CSM non abbiano bisogno di un sostegno “politico”.

*Andrea Spagnoli, Giampaolo Campoli – Avvocati tributaristi
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