L’oceano è uno dei polmoni più importanti del Pianeta. Oltre a ricoprire il 70% della superficie terrestre e ospitare l’80% della biodiversità mondiale, produce anche la metà dell’ossigeno che respiriamo presente in atmosfera. Per ricordare a tutti la sua vitale importanza, dal 1992 è stata istituita dalle Nazioni Unite la Giornata Mondiale degli Oceani celebrata l’8 giugno di ogni anno.
Dalla blue economy il 5% del Pil mondiale e milioni di posti di lavoro
Gli Oceani assorbono quasi un terzo dell’anidride carbonica prodotta dall’uomo, contrastando gli effetti del riscaldamento terrestre e in più sono la nostra principale riserva di proteine. Oltre 3 miliardi di persone dipendono da loro per la biodiversità e per il proprio sostentamento. Dunque, le acque dei tre Oceani, Pacifico, Atlantico e Indiano, sono una vera fonte di vita. In essi vivono un’enorme varietà di specie marine, a cominciare dalle minuscole alghe e batteri che costituiscono il fitoplancton, alimento essenziale per animali come balene, delfini, squali, foche e pinguini. Inoltre, dalla “blue economy” si genera il 5% del prodotto interno lordo mondiale e lavoro per milioni di persone.
8 tonnellate di plastica gettate in acqua ogni anno
Ciononostante, continuiamo a non averne rispetto. La Giornata di quest’anno, infatti, è stata intitolata ‘Rivitalizzazione: azione collettiva per l’Oceano’. “Secondo quanto afferma l’Unione Mondiale per la Conservazione della Natura – ricorda il professor Antonino Giannone, docente di Leadership and Ethics presso la Link Campus University – ogni anno vengono gettati in mare circa 8 tonnellate di plastica, che costituiscono l’80% di tutti i detriti marini. Il World Economic Forum stima che entro il 2050 la plastica avrà superato in peso la fauna marina! Oltre ad avere un significativo impatto sulla vita marina, prima che la plastica scompaia ci vogliono centinaia di anni non essendo biodegradabile”.
Plastica, pesticidi e sversamenti industriali i pericoli principali
Bottiglie alla deriva, sacchetti di plastica, mascherine e guanti chirurgici abbandonati sulle spiagge o tra le onde mostrano l’attuale contaminazione dei nostri mari e degli oceani. “Mi addolora – scrive su twitter il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, in occasione della Giornata mondiale degli oceani – come le risorse oceaniche e la biodiversità vengano distrutte dalle attività umane”. Un’emergenza rifiuti che coinvolge anche il Mediterraneo, che raccoglie grandi quantitativi di plastica e li restituisce in parte su coste e spiagge. Nelle sole giornate 13-15 maggio di quest’anno, Legambiente, con l’aiuto di cento organizzazioni provenienti da 17 Paesi dell’area Med, ha setacciato 23.750 km di arenili, raccogliendo 200 sacchi di rifiuti, più di 1 quintale in totale. La plastica galleggiante è il fenomeno più evidente, ma esistono inquinamenti molto più subdoli. I pesticidi e i nutrienti di uso agricolo arrivano al mare, così come i reflui urbani e quelli industriali.
Ad oggi protetti solo il 7% dei mari, La UE impone il 30% entro il 2030
Tra le minacce non ci sono solo i rifiuti o la pesca irresponsabile, ma anche gli effetti dei cambiamenti climatici globali, anch’essi, come ormai abbiamo imparato, responsabilità degli uomini. Parliamo dell’aumento della temperatura superficiale degli oceani, che entro il 2100 aumenterà di 1-4 °C e che incide sulla mutazione della circolazione dei mari. Di conseguenza, cambiano i regimi di evaporazione e, con essi, le precipitazioni sulla terraferma. Tutto questo ha effetti sui cicli biologici delle specie in mare e sulle loro difese immunitarie nei confronti delle malattie, che appaiono sempre più frequenti e diffuse. Metà della Grande barriera corallina australiana è in regressione.
I cambiamenti climatici provocano anche il progressivo innalzamento del livello del mare, mettendo a rischio gli ambienti costieri. C’è poi il problema dell’acidificazione degli oceani dovuta all’eccesso di anidride carbonica nell’atmosfera che, sciogliendosi in mare, produce acido carbonico. L’effetto è quello di alterare i processi di formazione degli scheletri calcarei di coralli, crostacei e bivalvi, con forti impatti anche sulla biodiversità. Infine, la deossigenazione degli oceani, con la progressiva estensione di aree anossiche e quasi del tutto prive di vita, come quella del Golfo del Messico.