La caduta del muro di Berlino portò con sé la promessa di un mondo più libero e più ricco per tutti. Tuttavia, i posti di lavoro che andarono perduti in occidente furono ricreati altrove con un impatto sociale e ambientale che non ha lasciato scampo a nessuno, a eccezione di pochissimi. Il malessere sociale che ne seguì fu poi amplificato dai social.
Si tratta di un quadro molto complesso e in questa sede ipersemplificato, ma serve a farsi più o meno un’idea per capire il senso del dibattito nel quale ci troviamo immersi alle prese con una pandemia, guerre, l’ennesima recessione alle porte, una forte spinta tecnologica e la nostra natura di essere umani.
Stakeholder capitalism vs Woke capitalism
Così accade che a pochi giorni dalla chiusura del World Economic Forum a Davos, dove ci si aspettava il trionfo dell’agenda ambientale e sociale, abbiamo invece assistito alla prosecuzione del fallimento già visto con COP26.
A offrire il palco per questa riflessione è stato il Financial Times, dove si è riaperto il dibattito sul senso di parlare di stakeholder capitalism oggi, ovvero di come creare valore a partire da e a favore di tutti coloro che di quella creazione sono protagonisti, vale a dire comunità, fornitori, impiegati, clienti e via dicendo.
Le destre populiste lo bollano non solo come un’ipocrisia, perché alla fine è il denaro che conta, ma anche come una precisa strategia per avanzare un’agenda progressista che ha senso in uno specifico spazio politico nel quale peraltro, aggiungono, a furia di parlare di inclusione hanno finito per escludere.
Naturalmente, alcune grandi aziende sostengono il contrario. Per esempio, Jamie Dimon, amministratore delegato di JP Morgan sostiene che non di astrazioni si tratta. Dice, “Quando ci svegliamo al mattino, quello che ci interessa è servire i clienti, guadagnarci il loro rispetto e la loro fedeltà”.
Un altro mondo è possibile se…
Per capirne di più dovremmo guardare cosa accade in ogni azienda. Ma una cosa sembra certa: bisogna essere intellettualmente onesti. Come ebbe a dire una di quelle che della sostenibilità e dell’inclusione ha fatto il proprio architrave culturale, Patagonia, essere inclusivi e sostenibili è possibile, ma richiede un pensiero e un’azione di lungo termine, ha un costo e quindi margini ridotti. Tradotto, concludono, se i nostri clienti sono disponibili a pagare di più e noi a guadagnare meno, allora si può fare.