Conte ha sbagliato i conti e ha incassato un colpo basso che doveva aspettarsi. Dopo l’uscita forzata dell’ex Petrocelli, il leader 5S puntava ad avere un suo uomo alla guida della Commissione esteri del Senato. Invece è stata eletta Stefania Craxi di Forza Italia. Non ci sono mai automatismi in queste vicende e gli accordi bisogna saperli costruire con pazienza e abilità. Evidentemente Conte ha dato per scontato che quella poltrona spettasse al M5S. E si è sbagliato. E ha reagito in modo nervoso e impreciso. Ha chiamato in ballo la maggioranza di Governo e Draghi in prima persona, come se il Governo avesse qualche voce in capitolo su dinamiche che sono e restano del Parlamento nella sua autonomia. Conte è uomo di diritto e sa benissimo che l’Esecutivo non può ingerirsi in vicende tipicamente parlamentari. Ha detto che il voto prefigura una nuova maggioranza. Ma in realtà Forza Italia che esprime il nuovo presidente della Commissione fa parte a pieno titolo della maggioranza di governo. L’argomento di Conte è privo di solidità giuridica e politica.
l leader dei 5S è da tempo sulle barricate. Manifesta insofferenza verso il Presidente del Consiglio e il Governo di cui il Movimento fa parte. Si agita su molti temi e ha deciso di cavalcare il no alle armi all’Ucraina sicuro di intercettare il malcontento dei pentastellati all’antica che hanno nostalgia di Di Battista e sono lontani mille miglia dall’equilibrio e dal realismo dimostrato da Di Maio.
Conte è fortemente tentato di sbattere la porta ed andar via dalla maggioranza. In questa direzione lo spingono alcune frange barricadere del M5S, però, non calcolano bene tutte le conseguenze di questo gesto. Una rottura con la maggioranza guidata da Draghi significherebbe la fine dei buoni rapporti con il Pd di Letta. Il M5S finirebbe in un angolo, isolato come ai bei vecchi tempi. Ma nel frattempo tante cose sono cambiate e mettere indietro l’orologio sarebbe l’ennesimo errore per un Movimento alla ricerca di una bussola. Con questa legge elettorale il M5S ha bisogno di un alleato per non essere totalmente escluso dalla corsa nei collegi uninominali. Ma c’è di più. Letta sarebbe costretto a dar ragione a quanti nel Pd (insieme a Calenda e Renzi) gli rimproverano il rapporto preferenziale con Conte. Letta sa benissimo che la rottura delle relazioni Pd-5S non basterebbe a rendergli più rosei e meno spinosi i rapporti on Calenda e Renzi. Per questo il leader del Pd sarà costretto -suo malgrado- a calmare gli eroici furori di Conte.