venerdì, 18 Ottobre, 2024
Società

Censis: solo metà delle famiglie ricorre alla assistenza domiciliare pubblica

Secondo il terzo report realizzato dal Censis per Assindatcolf, “Welfare familiare e valore sociale del lavoro domestico in Italia”, la maggior parte delle famiglie italiane ricorrono prevalentemente alla propria rete di conoscenze dirette per la ricerca del personale domestico, utilizzando meno i canali specializzati (agenzie per il lavoro, piattaforme online), percepiti come poco accessibili e più costosi. Al passaparola vi ricorre il 76,4% di chi ha bisogno di una colf, il 70,8% di chi cerca badanti e il 61,6% di baby-sitter. Relativamente al livello di soddisfazione delle famiglie per il servizio reso dal domestico così assunto, nel caso delle colf, l’82% delle famiglie ha trovato nel lavoratore una effettiva corrispondenza con le competenze richieste e l’area dell’insoddisfazione (che può portare anche alla decisione del licenziamento) si ferma al 18%.

Nel caso delle badanti, il disallineamento tra attese e qualità professionali della persona impiegata riguarda invece un terzo delle famiglie: il 33,8%. Nel caso delle baby-sitter, al 76,2% di famiglie soddisfatte si contrappone quasi un quarto di insoddisfatte. Il livello di soddisfazione è minore tra i datori di lavoro più giovani, under 55 anni. Tra questi, il 22,7% ha riscontrato un certo grado di inadeguatezza rispetto a quanto ci si aspettava dalla colf assunta e l’1,6% sta pensando di procedere alla sostituzione. Tra chi rientra in questa classe di età, nel caso delle badanti assunte gli insoddisfatti arrivano al 41%.   Ricorre agli strumenti di assistenza pubblica dedicati al sostegno delle famiglie e delle persone in condizioni di non autosufficienza poco meno della metà delle famiglie in cui sono presenti anziani bisognosi o persone non autosufficienti. Tra gli strumenti più utilizzati c’è l’indennità di accompagnamento (42,1%), mentre le altre tipologie restano tutte sotto la soglia del 10%.   L’assistenza domiciliare integrata è stata indicata dall’8,2%.

Solo il 3,9% accede all’assistenza domiciliare programmata, un servizio che il medico di medicina generale effettua presso il domicilio di un paziente. Tuttavia, per chi vi accede l’adeguatezza di questi strumenti di sostegno alla non autosufficienza risulta positiva soprattutto per quanto riguarda l’assistenza integrata e programmata: rispettivamente, il 76,7% e il 72,7%. È inferiore nel caso dell’indennità di accompagnamento: solo il 35,4% di chi vi ha accesso esprime una valutazione positiva. Per far fronte alle loro esigenze, le famiglie vorrebbero un contributo economico che le metta nelle condizioni di impiegare un assistente familiare (36,3%) o, in alternativa, chiedono la possibilità di portare in deduzione il totale del costo sostenuto per il personale domestico impiegato (35,5%).

Di contro, il 14% delle famiglie preferirebbe ricevere servizi personalizzati erogati da personale specializzato da parte dell’Asl, del Comune o di enti autorizzati e accreditati.   L’11,5% vorrebbe un contributo economico pubblico senza vincoli di utilizzo e solo il 2,7% preferirebbe ricevere un contributo economico pubblico che vada a sostenere il reddito di un caregiver. Emerge la consapevolezza che una condizione complessa e delicata come quella della non autosufficienza può essere affrontata in modo adeguato solo attraverso una presa in carico della famiglia, alla quale però deve essere riconosciuto il ruolo sostitutivo svolto. In alternativa è necessario predisporre un servizio di assistenza accurato e competente, soprattutto nei casi in cui la famiglia non riesce a rispondere con le proprie forze e con le proprie risorse all’assistenza di cui ha bisogno un familiare che versa in gravi condizioni di salute.

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