venerdì, 15 Novembre, 2024
Società

Numero di minori in costante calo e pochi servizi educativi

L’Italia è il secondo paese Ue per calo delle nascite e l’ultimo per tasso di natalità. Perciò è anche uno dei paesi con meno bambini. A fronte di una media che nel continente sfiora i 2 minori ogni 10 residenti, con picchi superiori al 22% in Irlanda e Francia, in Italia sono circa il 16%. Il basso numero di minori è un problema per il nostro paese, strettamente collegato con il calo demografico. Un problema che parte dalle fasce più giovani della popolazione minorile. La quota di bambini con meno di 3 anni infatti è in costante calo.

Erano 1,7 milioni nel 2011, anno del censimento, ovvero quasi il 3% dei residenti. Sette anni dopo, nel 2018, sono 300mila in meno:
1,4 milioni, il 2,3% della popolazione italiana. Di fronte a un calo così vistoso, un tema cruciale – osserva in una ricerca Openpolis – è la presenza di servizi rivolti ai minori, a partire dalla prima infanzia. Primo, perché anche se le proiezioni demografiche indicano che la domanda di servizi diminuirà, in molte aree del paese i servizi educativi sono così carenti che è previsto continueranno a mancare. Secondo, per il ruolo che un’offerta di servizi accessibili può avere nel contenere un trend demografico negativo.

Nel 2016, l’anno più recente per cui sono disponibili i dati sui servizi per la prima infanzia, i minori tra 0 e 2 anni erano poco meno di 1,5 milioni, cioè il 2,46% dei residenti nella penisola.

Una quota molto variabile nel paese: si va dal 3,1% della provincia autonoma di Bolzano all’1,81% di quella di Oristano. Un dato, quest’ultimo, che non è così dissimile da quello delle altre province sarde. Solo Sassari (2,14%), Cagliari (2,12%) e Nuoro (2,09%) superano quota 2% ma sono lontane dalla media nazionale. Insieme alla Liguria, la Sardegna è la regione dove ci sono meno bimbi rispetto alla popolazione.

È interessante osservare come i territori con più minori siano localizzati in aree molto diverse del paese. Dopo Bolzano, prima in classifica, spiccano 3 grandi città metropolitane del mezzogiorno: Catania (2,81%), Napoli (2,79%) e Palermo (2,77%). Ma tra le prime 10 con più bambini compaiono anche altre province del nord, come Reggio Emilia (2,75%), Trento (2,73%) e Bergamo (2,68%). E province del mezzogiorno che non sono citta’ metropolitane, come Caserta (2,74%), Crotone e Ragusa (2,67%). Realtà accomunate da una forte incidenza di bambini sulla popolazione, ma differenti sotto tanti punti di vista.

Per caratteristiche demografiche, condizione socio-economica, conformazione del territorio. E anche in termini di offerta di servizi in questi territori, in particolare quelli dedicati alla prima infanzia. Se si osserva l’offerta di asili nido e di servizi per la prima infanzia in queste 10 province, emerge subito una profonda spaccatura tra nord e sud, coerente con le tendenze a livello nazionale. Tutte le realtà settentrionali si trovano al di sopra della media nazionale (24%). Al contrario, quelle meridionali considerate non arrivano nemmeno alla metà di quella soglia. In 5 casi su 6 non arrivano alla doppia cifra, l’unico che la raggiunge (Crotone) supera di poco quota 11%. Appena un terzo della soglia dei 33 posti ogni 100 bimbi, stabilita in sede europea. Sotto questo punto di vista, va sottolineato come solo 2 delle 10 province a maggiore presenza di minori superino la soglia europea. Si tratta di Trento e Reggio Emilia, entrambe al di sopra del 36%. Altro aspetto fondamentale è come si articola questa offerta, se con posti in asili pubblici oppure privati. A livello nazionale è piuttosto paritaria, con una leggera prevalenza (51,3%) di posti pubblici. Il restante 49,7% è offerto in strutture private, sia con i posti in convenzione sia con quelli a mercato libero.

A differenza della classifica precedente, non c’è una spaccatura netta tra nord e sud nelle modalità di gestione dell’offerta. Tra le aree con servizio prevalentemente privato si trovano 3 comuni del sud e 2 del nord, così come tra quelle dove prevale il servizio pubblico. Due capoluoghi siciliani si caratterizzano per un dato in linea con la media nazionale: Catania (51,57%) e Ragusa (53,22%). Allo stesso tempo però va rilevato come l’offerta sia quasi esclusivamente privata in due province del mezzogiorno, Crotone e Caserta, che sono anche agli ultimi posti per diffusione del servizio. In queste due realtà quasi il 90% dei posti è offerto in strutture private. (Italpress).

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