Ad oggi, non esiste ancora una teoria completa che definisca, da un punto di vista puramente scientifico, il concetto di mondo multipolare. L’espressione “ordine mondiale multipolare” anche se menzionata più volte nei discorsi e nei testi di politici e giornalisti influenti, tuttavia, nessuno di questi libri, articoli o dichiarazioni contiene una definizione precisa del concetto di mondo multipolare né, del resto, una teoria coerente della sua costruzione. L’approccio più comune alla “multipolarità” consiste solo nell’affermazione che, nel processo di globalizzazione in corso, il centro indiscusso e il cuore del mondo moderno (gli Stati Uniti, l’Europa e il più ampio “mondo occidentale”) si trova ad affrontare nuovi concorrenti: emergenti o potenti poteri regionali e blocchi di potere appartenenti al “secondo mondo”. Confrontando i rispettivi potenziali degli Stati Uniti e dell’Europa, da un lato, e quelli delle nuove potenze emergenti (Cina, India, Russia, America Latina, ecc) dall’altro, sempre più persone sono convinte che la tradizionale superiorità dell’Occidente è relativa, e che vi è motivo di interrogarsi sulla logica dei processi che determinano l’architettura globale delle forze su una scala planetaria in politica, economia, energia, demografia, cultura, ecc.
Nell’immediato secondo dopoguerra, sconfitto il nazifascismo, gli interessi difficilmente conciliabili di URSS e USA, e le diverse incompatibili visioni del mondo, nonché la parallela tendenza a sopravvalutare la forza e le capacità l’uno dell’altro, hanno portano al formarsi di due campi antagonistici destinati a dar vita alla costituzione di un nuovo ordine mondiale, tendenzialmente bipolare. Un ordine di fatto e non di diritto che vedeva il contrapporsi, per oltre quarant’anni, in un alternarsi di fasi più o meno acute di tensione e di distensione, il mondo libero e quello socialista, secondo le rispettive auto-definizioni; l’imperialismo americano e il totalitarismo sovietico, secondo le definizioni che l’uno darà dell’altro; la Democrazia e il Comunismo, secondo la percezione dei contemporanei. La guerra fredda, guidata dai due Stati, USA e URSS, si estese ai due grandi schieramenti internazionali, e si manifestò in molte forme (economica, diplomatica, culturale, politica e militare). Venne combattuta con molti mezzi (dagli aiuti economici per lo sviluppo all’assistenza militare o tecnologica, alla corsa agli armamenti, alla penetrazione commerciale, al cinema, ai libri, allo sport, all’attività dei servizi segreti, alla gara spaziale), ma soprattutto l’ideologia (anticapitalista dei sovietici e anticomunista degli americani) e la propaganda, permisero all’URSS e agli USA di rafforzare le rispettive identità e il consenso interno a ciascun paese, realizzando quella coesione all’interno degli schieramenti e la legittimazione esterna di ciascuna potenza, ponendo i due Stati come guida del proprio blocco. La contrapposizione Usa-Urss e l’esistenza delle armi nucleari – dunque il sistema bipolare – hanno garantito la pace nel mondo limitando al massimo i vari conflitti. Per esempio in Europa, nel periodo tra 1945 e il 1990, la bipolarità ha creato un periodo di convivenza economica e politica pacifica. Ma con la fine dell’ordine liberale internazionale, che aveva reso gli Stati Uniti l’unica superpotenza globale in grado di affermare e proiettare la propria egemonia su tutto il globo, l’emergere di altre due grandi potenze come la Russia e la Cina, ha fatto in modo che il mondo transitasse dall’era unipolare, a guida americana, a un nuovo multipolarismo. Il mondo multipolare è una alternativa radicale al mondo unipolare (che nei fatti esiste nella situazione presente) in ragione del fatto che esso insiste sulla presenza di un numero limitato di centri indipendenti e sovrani di decisioni strategiche globali a livello mondiale.
È una politica dell’equilibrio assai diversa da quella praticata nel passato dalle grandi potenze, scarsamente ideologica, legata a calcoli di potenza e prestigio, con alleanze mutevoli. Di fatto, la fine di quel periodo di relativa pace ha portato a nuove guerre, che si combattono tutt’ora in molte parti del mondo. Dall’Afghanistan alla Siria, sono 10 i conflitti e le possibili crisi da seguire con attenzione nel 2019. Tra i conflitti ricordiamo: la guerra dimenticata per troppo tempo nello Yemen ; la guerra in Afghanistan, che quest’anno entra nel quarantesimo anno consecutivo di conflitto; la guerra in Siria, dove Il presidente siriano Bashar al-Assad, che ha riconquistato il controllo della maggior parte del suo Paese, viene ora corteggiato dai leader arabi, segnando un cambiamento strategico nella regione; la guerra in Nigeria e nel Sud Sudan, che hanno ridotto i due paesi all’estrema povertà. Tra le possibili crisi da seguire con attenzione ricordiamo: la crisi nelle aree anglofone del Camerun, che è sul punto di intensificare la guerra civile e destabilizzare un Paese che un tempo era considerato un’isola di relativamente tranquilla in una regione travagliata; la crisi in Ucraina e Donbass, dove l’incidente nello Stretto di Kerch dimostra le tensioni fra la Russia e Kiev, (supportata – e armata – dalle potenze occidentali). Nel frattempo, i combattimenti nel Donbass, conflitto spesso dimenticato dai media, proseguono senza sosta, dove più di 10.000 persone sono state uccise.
Mentre le tensioni nell’America Latina, nel 2019 sono destinate a crescere. Il Segretario di Stato americano Mike Pompeo e il ministro degli esteri brasiliano Ernesto Araujo, hanno annunciato l’avvio di una cooperazione e la volontà, a margine dell’insediamento del presidente conservatore Jair Bolsonaro, di “sostenere i popoli di nel ripristinare la governance democratica e i diritti umani”. Per quanto riguarda invece le tensioni tra gli Usa e la Cina, sebbene si assista ad una “situazione di stallo tra i due Paesi “, la retorica “tra i due è sempre più bellicosa”. Se le relazioni continueranno a deteriorarsi, la rivalità potrebbe avere conseguenze geopolitiche più gravi di tutte le altre crisi elencate quest’anno. Infine, le tensioni tra l’Arabia Saudita, Stati Uniti, Israele e Iran anche nel 2019 mostrano concreti rischi di scontro – deliberati o involontari –.
La questione, sicuramente si complicherà nel 2020, data prevista in cui l’Onu farà cessare l’embargo contro l’Iran, secondo quanto disposto nella risoluzione 2231. Il problema sta nel fatto che l’Arabia Saudita, Stati Uniti, Israele condividono una visione comune che vede nella Repubblica Islamica una seria minaccia, le cui aspirazioni regionali devono essere necessariamente frenate. E la Russia? Per Mosca però l’Iran è un rilevante baluardo per bloccare e limitare la potenza degli Usa in Medio Oriente, riuscendo a influenzare da qui, il ciclo mondiale dei prezzi petroliferi e gazieri, determinando indirettamente i cicli dell’economia russa.