martedì, 17 Dicembre, 2024
Economia

Rapporto Cgia. Lo Stato non paga 65 mld e le imprese falliscono

Fallire per colpa della Pubblica amministrazione che non paga i suoi debiti. È quanto emerge dalla indagine dell’Ufficio studi della Cgia (società di analisi socio economiche della Confederazione nazionale
degli artigiani) che indica come lo stock dei debiti commerciali di parte corrente della nostra Pubblica Amministrazione continua ininterrottamente a crescere. Nel 2021, ultima rilevazione presentata
nei giorni scorsi, ha toccato il record di 55,6 miliardi di euro, ma la somma globale supera i 65 miliardi.

Falliti per colpa dello Stato

C’è chi è fallito, spiega il Centro studi, paradossalmente non per debiti, ma per crediti non riscossi. “Va altresì segnalato che nel computo dei debiti commerciali presentati nei giorni scorsi non sono
inclusi quelli in conto capitale”, si sottolinea nell’analisi, “ovvero quelli riferiti ai ritardi o mancati pagamenti per investimenti, che, secondo una stima dell’Ufficio studi, potrebbero aggirarsi attorno
ai 10 miliardi di euro”. Sommandoli ai 55,6 di parte corrente spingerebbe, commenta la Cgia, “l’ammontare complessivo dei debiti commerciali della nostra PA a oltre 65 miliardi di euro. Altresì, non sono poche le imprese che anche in questi ultimi 2 anni sono fallite; non per debiti, ma per crediti con lo Stato che non sono riuscite a riscuotere”.

PA, impegni non rispettati

Una situazione incresciosa, secondo l’Ufficio studi della Cgia che dimostra ancora una volta come la macchina pubblica fatichi a rispettare i tempi di pagamento dei beni e servizi erogati dai propri fornitori,
così come previsto dalla legge – di norma 30 giorni dall’emissione della fattura o 60 giorni per alcune tipologie di forniture, in particolare quelle sanitarie -.

“Pagano le fatture importanti, ma non quelle di importi minori”, sottolinea il Centro studi,
“E’ corretto segnalare che negli ultimi anni i ritardi di pagamento, misurati con l’Indice di Tempestività dei pagamenti (ITP)2 sono mediamente in calo, anche se secondo la Corte dei Conti si starebbe
consolidando una tendenza che vede le Amministrazioni pubbliche privilegiare il pagamento in tempi brevi delle fatture di importo maggiore e ritardare intenzionalmente la liquidazione di quelle di importo meno elevato”.

Piccole imprese penalizzate

Una modalità operativa che, ovviamente, penalizza le piccole imprese che, generalmente, lavorano in appalti o forniture di importi nettamente inferiori a quelli “riservati” alle attività produttive di dimensione
superiore. “Sono un cattivo esempio anche la gran parte dei Ministeri”, rivela lo studio, “Pagare in ritardo o addirittura non pagare nemmeno sono un malcostume tutto italiano che non risparmia nemmeno i ministeri.

Nel 2021, ad esempio, tra quelli con portafoglio, solo 2 su 14 hanno rispettato le scadenze di pagamento previste dalla norma (Transizione Ecologica e Istruzione/Università/Ricerca). Tutti gli altri, invece,
hanno pagato in ritardo”.

I cattivi pagatori

Le situazioni più “critiche” si sono registrate al Ministero dell’Interno (+67 giorni rispetto alla scadenza prevista per legge), alle Politiche Agricole (+ 42 giorni), alla Difesa (+33 giorni) e ai Beni Culturali (+21 giorni). La situazione è addirittura in peggioramento; nei primi 3 mesi di quest’anno, infatti, dei nove
ministeri che hanno aggiornato l’ITP, solo quello delle Politiche agricole ha pagato in anticipo (-37,07 giorni). Tutti gli altri, invece, presentano un ritardo medio dei pagamenti: i più lenti nel saldare le fatture ricevute sono stati il ministero della Difesa (+18 giorni), quello delle Infrastrutture (+27 giorni), quello del Lavoro (+29 giorni) e quello dell’Interno (+47 giorni).

Comuni, i ritardi del Sud

Al Sud i Comuni faticano a pagare. Tra le realtà amministrative pubbliche più in difficoltà nel saldare i fornitori scorgiamo i Comuni del Sud. Nel 2021, infatti, dall’analisi dell’ITP scorgiamo che l’amministrazione comunale di Lecce ha pagato le fatture ricevute con 50 giorni di ritardo (dato riferito al 3° trimestre 2021), a Salerno dopo 61 giorni, ad Avellino dopo 72 giorni, a Reggio Calabria dopo 154 giorni
e a Napoli con 228 giorni di ritardo. Nel capoluogo regionale campano, se escludiamo i giorni festivi, i fornitori vengono pagati dopo un anno dalla scadenza prevista dalla normativa nazionale.

Le soluzioni urgenti

Per risolvere questa annosa questione che sta mettendo a dura prova tantissime piccole imprese, per la Cgia c’è solo una cosa da fare.
“Prevedere per legge la compensazione secca, diretta e universale tra i crediti certi liquidi ed esigibili maturati da una impresa nei confronti della PA e i debiti fiscali e contributivi che la stessa deve onorare
all’erario. Grazie a questo automatismo risolveremmo”, propone il Centro studi, “un problema che ci trasciniamo appresso da decenni. Senza liquidità a disposizione, infatti, tanti artigiani e altrettanti piccoli
imprenditori si trovano in grave difficoltà e in un momento così delicato per l’economia del Paese è inaccettabile che i debiti della PA nei confronti degli imprenditori siano in costante crescita dal 2017”.

Perché la PA fatica a pagare

Le principali cause che hanno originato a questa cattiva abitudine che ci trasciniamo da almeno 15 anni sono: la mancanza di liquidità da parte del committente pubblico; i ritardi intenzionali; l’inefficienza di molte amministrazioni a emettere in tempi ragionevolmente brevi i certificati di pagamento; le contestazioni che allungano la liquidazione delle fatture.

Possibile 250 mila assunzioni

Il Centro studi ha realizzato anche un rapporto tra pagamenti certi e nuovi assunti.
Saldando la metà dei debiti potremmo avere 250 mila nuovi occupati. “Se, ipoteticamente, almeno la metà dei 55,6 miliardi di euro di debiti commerciali fosse pagato quest’oggi, allineandoci così a un livello di
mancati pagamenti sul Pil in linea con la media europea, quanti nuovi posti di lavoro si potrebbero creare? Ovviamente, dare una risposta precisa a questa domanda è estremamente difficile. Tuttavia”, calcola la
Cgia, “con quasi 28 miliardi di euro in più in cassa non è da escludere che le imprese potrebbero utilizzare almeno una decina di miliardi per potenziare il proprio organico”. In linea ipotetica, secondo l’Ufficio
studi, “questa grossa iniezione di liquidità potrebbe contribuire a creare almeno 250 mila nuovi posti di lavoro”.

Ultimi in Europa

Una cifra che rapportata al Pil nazionale è pari al 3,1 per cento.
“Nessun altro Paese dell’UE a 27 registra uno score così negativo”, evidenzia la Cgia, “Dei nostri principali competitor commerciali, ad esempio, i debiti di parte corrente sul Pil della Spagna sono pari allo
0,8 per cento, nei Paesi Bassi all’1,2 per cento, in Francia all’1,4 per cento e in Germania all’1,6 per cento. Persino la Grecia, che l’anno scorso aveva un rapporto debito pubblico/Pil che sfiorava il 203 per
cento, presenta un’incidenza dei debiti commerciali sul Pil quasi la metà della nostra: 1,7 per cento”.

Condanna dalla Corte UE

Con la sentenza pubblicata il 28 gennaio 2020, la Corte di Giustizia Europea ha affermato che l’Italia ha violato l’art. 4 della direttiva UE 2011/7 sui tempi di pagamento nelle transazioni commerciali tra
amministrazioni pubbliche e imprese private. Sebbene in questi ultimi anni i ritardi medi con cui vengono saldate le fatture in Italia siano in leggero calo, nel 2021 la Commissione europea ha inviato al Governo
Draghi una lettera di messa in mora sul mancato rispetto delle disposizioni previste dalla direttiva europea approvata 10 anni fa.

Infine, un’altra procedura ancora aperta contro il nostro Paese riguarda il codice dei contratti pubblici che prevede un termine di pagamento di 45 giorni, quando a livello comunitario la scadenza, invece, è di 30
giorni. I fornitori devono compensare i debiti fiscali con crediti commerciali.

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