lunedì, 16 Dicembre, 2024
Esteri

Nei sogni di Putin non c’è l’Unione sovietica ma la Russia degli Zar

Negli scritti del Generale Anton Deniken e del pensatore Ivan Ilin, il disegno nazionalista del Cremlino che mira a sopprimere l'Ucraina

Di recente mi sono imbattuto in un materiale che fornisce un assaggio della storia russa per come la vede Putin, e che può aiutarci a capire da dove proviene quest’uomo e dove vuole portare la Russia, e in effetti il mondo. Purtroppo, questa intuizione non è incoraggiante.

Nel suo libro del 2017, The Lost Kingdom, lo storico di Harvard Serhii Plokhy racconta due commenti di Vladimir Putin che sono notevolmente utili per comprendere l’aggressione di Putin contro l’Ucraina, e forse i suoi piani. Nel primo, Putin chiese a una giornalista russa se avesse mai letto le memorie di uno dei famigerati leader delle forze controrivoluzionarie bianche, il generale Anton Deniken. Un passaggio, che Putin cita, afferma: “Nessuna Russia, reazionaria o democratica, repubblicana o autoritaria, permetterà mai all’Ucraina di essere strappata via. La disputa insensata, infondata ed esternamente aggravata tra la Rus’ moscovita e la Rus’ kyiviana è la nostra lite interna, non riguarda nessun altro, e sarà decisa da noi stessi.”

Il presidente della Russia si  è formato anche sugli scritti di Ivan Ilin, secondo Plokhy, che è emerso come un ideologo leader del movimento bianco.  Infatti, Putin ha anche citato Ilin nel 2006, in un discorso davanti al parlamento russo.  Ilin aveva scritto un’osservazione sulla storia russa che aiuta a capire spiegare la visione di Putin del passato della Russia, e come la sta applicando al presente della Russia. “La Russia non perirà a causa dello smembramento, ma comincerà a ripetere l’intero corso della sua storia: come un grande organismo, riprenderà a raccogliere i suoi ‘membri’, procedendo lungo i fiumi verso i mari, verso le montagne, verso il carbone, il grano, il petrolio, l’uranio.”

Che Putin abbia una tale riverenza non solo per un pensatore , ma anche per il comandante militare di un pericoloso movimento controrivoluzionario, ci dice molto sulle sue opinioni sull’Unione Sovietica. Forse ancora più significativo è  il fatto che si sia spinto fino al pagamento per il rimpatrio e la sepoltura dei resti del generale Deniken e di sua moglie a Mosca, dove avrebbero potuto riposare insieme a quelli di Alexander Solzhenitsyn e Mr. Ilin.

Chiaramente, l’Unione Sovietica non occupa un posto speciale nel cuore dell’attuale presidente della Russia. Certo, Putin ha passato anni al servizio di quello stato mentre era nel KGB, ma sembra averlo fatto non per convinzione della causa del comunismo, o dell’Unione Sovietica in sé, ma perché l’URSS era semplicemente la più recente incarnazione del Grande Impero Russo. Molti citano la sua ormai famosa dichiarazione che il crollo dell’Unione Sovietica è stato il più grande disastro del 20 º secolo, ignorando altri eventi veramente orribili, come due guerre mondiali, l’Olocausto, Il terrore di Stalin e la carestia causata dal suo programma di collettivizzazione agraria. Ma Putin aggiunge che sarebbe sciocco cercare di ricreare l’URSS.  L’unico elemento di quel regime che sembra vedere come un modello per il proprio governo è la brutale e autoritaria dittatura che ha stabilito oggi in Russia, uno sviluppo che l’Economist ha giustamente etichettato come la Restalinizzazione della Russia.

Piuttosto che l’Unione Sovietica, forse sarebbe più utile applicare il modello e le interpretazioni del passato della Russia che Putin sembra tenere più a cuore. E questo ci porta non a Stalin o a Lenin, ma agli stessi Zar, specialmente alla lunga linea che va da Ivan III a Nicola I. Qui, i commenti di Deniken e Ilin sono veramente rivelatori. Ivan III è stato il primo ad espandere il territorio della Moscovia a qualsiasi grande grado e di assumere il titolo di zar, si muove giustificato rivendicando lignaggio a Vladimir il Grande, che ha portato il cristianesimo a Kievan Rus, lo stato che molti vedono come la fondazione dell’impero zarista, una mossa che gli ha portato anche la canonizzazione nella Chiesa ortodossa russa e l’eterna riverenza dei nazionalisti russi.

Non dovrebbe sorprendere che i principali oppositori alla crescita della Moscovia in quegli anni provenissero spesso dall’Occidente sotto forma di Polonia e Lituania, Svezia e Germania. Infine, fu Nicola I che, nella prima metà del XIX secolo, sancì la sua politica interna ed estera sotto la bandiera ufficiale dell’autocrazia, dell’ortodossia e della nazionalità, frasi che oggi suonano sinistramente preveggenti. Questo è particolarmente rivelatore se si considera che le forze che Nicola I vedeva come la più grande minaccia per il suo regno erano i nuovi regimi liberali emergenti e i movimenti democratici rivoluzionari dell’Europa occidentale.

La domanda è: cosa ci dice questo di dove Putin vuole andare nei giorni e negli anni a venire?  Lo vedremo nel prossimo articolo (1-continua)

*Già dirigente della CIA, docente di Storia Europea alla Iowa State University
(traduzione a cura di Sofia Mazzei)

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