In marzo l’inflazione nel nostro Paese ha raggiunto il 7%, uno dei livelli più alti dall’inizio degli anni novanta e le imprese stimano ulteriori pronunciate revisioni al rialzo dei propri listini rispetto allo scorso dicembre. Contestualmente nel primo trimestre il Pil nazionale è diminuito dello 0,5% sul periodo precedente e lo spread sovrano e i costi di finanziamento delle imprese e delle banche sono saliti. I settori più colpiti risultano l’industria in senso stretto, in particolare il manifatturiero, e i servizi, quest’ultimi connessi all’indebolimento della spesa delle famiglie. Le rilevazioni di marzo dei climi di fiducia, le prime successive all’invasione dell’Ucraina, mostrano un marcato peggioramento per le famiglie, soprattutto della componente prospettica, a fronte di una tenuta della fiducia delle imprese. Bene solo l’edilizia.
Il direttore generale della Banca d’Italia, Luigi Federico Signorini, ha sottolineato come “da principio il calo dei consumi è stato dovuto soprattutto alla rapida diffusione dei contagi della variante Omicron del coronavirus, con una significativa perdita di giornate di lavoro. Dopo il 24 febbraio gli ulteriori rincari delle fonti energetiche e le incertezze sul relativo approvvigionamento – particolarmente accentuate in Italia e Germania, molto dipendenti dal gas russo – hanno appesantito ulteriormente il clima congiunturale”.
Risorse pubbliche per sostegno ai redditi
In molti paesi d’Europa si stanno già adottando politiche per mitigare l’effetto dei rincari energetici sulle famiglie e sulle imprese sotto forma di riduzioni delle tasse gravanti sui prodotti energetici o di altri meccanismi intesi a contenere il rincaro degli stessi. Bankitalia suggerisce, invece, per contrastare la crescita dell’inflazione, di concentrare le risorse pubbliche disponibili, più che sui prezzi in sé, sul reddito delle famiglie e delle imprese più colpite, mitigando le conseguenze sociali dello shock.
Corsa degli italiani ai discount alimentari
I dati Istat relativi al commercio al dettaglio di febbraio 2022 registrano un calo congiunturale a livello merceologico esclusivamente per i beni alimentari che evidenzia la difficoltà in cui si trovano le famiglie italiane. Volano, infatti, gli acquisti di cibo low cost dei discount alimentari che segnano un balzo del +7,7%. “Gli aumenti record dei prodotti energetici e delle materie prime si riflettono – commenta Coldiretti – sui costi di produzione del cibo ma anche su quelli di confezionamento. Una situazione che nei Paesi più ricchi provoca inflazione, mancanza di alcuni prodotti e aumento dell’indigenza alimentare ma anche gravi carestie nei Paesi meno sviluppati”. Anche per Signorini le “difficoltà immediate possono manifestarsi per le fasce di reddito più basse, la cui propensione al consumo è più elevata, e le disponibilità liquide più contenute”.
Con fine della guerra Pil al rialzo e inflazione al ribasso
A pesare sono soprattutto le conseguenze macroeconomiche del conflitto. Una rapida risoluzione del conflitto – si legge nel bollettino economico della Banca d’Italia – e un significativo ridimensionamento delle tensioni porterebbe la crescita del Pil al 3% nel 2022 e nel 2023; l’inflazione al 4% e all’1,8%. Nello scenario intermedio, supponendo una prosecuzione delle ostilità, il Pil aumenterebbe attorno al 2% in entrambi gli anni; l’inflazione sarebbe pari al 5,6% e al 2,2%. Nello scenario più severo – che presuppone anche un’interruzione dei flussi di gas russo solo in parte compensata da altre fonti – il Pil diminuirebbe di quasi mezzo punto percentuale nel 2022 e nel 2023; l’inflazione si avvicinerebbe all’8%.