Viene definita in “evoluzione”, la riforma della previdenza. Non è più e solo un confronto tra Governo e sindacati, ma diventa nel merito delle scelte un dialogo serrato tra Cgil, Cisl e Uil, Ministero del Lavoro e
l’Istituto nazionale di previdenza sociale. Scende infatti in campo di nuovo l’Inps come giusto che sia a riordinare i percorsi e seguire l’evoluzione della trattativa. L’obiettivo è raggiungere un’intesa complessiva e strutturale che sia fondata su trattamenti equi, sostenibili e che abbiano a cuore percorsi condivisi tra le diverse parti.
Tornare alla trattativa
Entro i prossimi nove mesi le scelte devono essere fatte perché per il 31 dicembre bisogna raggiungere risultati concreti. Le linee di azione per la gestione per l’anno 2022 sono state nei giorni scorsi indicate
dal Ministero del Lavoro, e sempre dai tecnici del ministero dovrà arrivare una sintesi delle ipotesi e degli accordi che sono stati finora raggiunti. Il nucleo del confronto con le parti sociale è quello di garantire un confronto senza strappi, dando spazio alla mediazione tra le ipotesi in campo.
Cosa c’è di deciso
Il nuovo difficile scenario internazionale ha posto la riforma della previdenza in secondo piano. Si ricorderanno anche le tensioni tra Cgil e Uil e il Governo sfociate il 18 dicembre 2021 in uno sciopero
generale. Poi la ricomposizione di un tavolo di trattativa con alcuni passi avanti. Tra le cose portare a compimento la proroga dei regimi sperimentali “Opzione donna” e “Anticipo Pensione” (APE sociale). Inoltre per il solo 2022 su sollecitazione del premier Mario Draghi c’è stata l’introduzione della nuova forma anticipata di pensionamento, “Quota 102”, che segna una svolta (non condivisa dai sindacati) di un calcolo in todo dell’assegno da retributivo a contributivo. La scelta di “102” è arrivata con il parziale flop di “Quota 100”, che in realtà ha favorito pochi lavoratori per lo più del pubblico impiego e donne. Le tensioni tra sindacati e Governo si sono acuite proprio sul calcolo contributivo per intero, scelta che ha deluso le attese dei leader di Cgil, Cisl e Uil che chiedono ancora oggi, una riforma strutturale del sistema, la garanzia di una maggiore flessibilità in uscita e pensioni più pesanti economicamente.
Dialogo per cambiare
Secondo fonti specializzate che seguono passo passo l’evoluzione della trattativa che prosegue sotto traccia, nei giorni scorsi è stata varata dal Ministero del lavoro una Direttiva generale per l’azione amministrativa e la gestione per l’anno 2022 un atto programmatico che contiene le linee d’azione e gli obiettivi strategici ed operativi che i dirigenti di primo livello del Ministero dovranno sviluppare nel corso
dei prossimi mesi.
Tra i criteri viene indicato anche un “intervento sul sistema pensionistico, attraverso il dialogo e il confronto con le parti sociali, volto a garantire un sistema equo e flessibile nell’uscita dal mercato del lavoro”. Una formula che contiene, secondo gli interlocutori, importanti indicazioni nel metodo e nel merito.
Aprile nuovo confronto
Gli incontri tra Governo e sindacati da gennaio sono proseguiti a singhiozzo. Da una riforma che doveva essere fatta a fine 2021 si è passati a uno slittamento che prevedeva aprile come primo importante punto di riferimento. Ma anche questa data è saltata. Ora traspare la volontà di continuare la strada degli incontri e di tenerli in modo ravvicinato. Ci si aspetta, quindi, in questo senso, una ripresa dei tavoli di discussione dopo l’ultimo incontro, tenutosi a metà febbraio.
Scelte, posizioni distanti
Se il dialogo tornerà in primo piano sulle scelte le posizioni non convergono. La partita appare al momento lontana da essere chiusa. C’è il presupposto che le parti vogliono trovare una soluzione sulla flessibilità di uscita dal lavoro, ma il Governo pone paletti rigidi mentre i sindacati chiedono la possibilità di pensionamento a partire dai 62 anni di età anagrafica, senza penalizzazioni sul meccanismo di calcolo del trattamento, oppure una volta raggiunto un requisito contributivo di 41 anni, a prescindere dall’età anagrafica. Dall’altro lato, la posizione del Governo, farebbe sconti ad una maggiore flessibilità in uscita ma solo a condizione che i lavoratori accettino un ricalcolo del trattamento pensionistico.
Retributivo e contributivo
In questi mesi tra le ipotesi ventilate, poi accantonate poi ritornate in primo piano c’è la possibilità di abbassare l’importo soglia mensile, pari a 2,8 volte la pensione sociale. Metodo attualmente previsto per
accedere al pensionamento anticipato con 64 anni di età per quanti si trovano nel sistema contributivo, estendendo tale possibilità anche ai lavoratori che si trovino nel sistema misto. Ma solo a condizione che
questi ultimi accettino un ricalcolo della propria prestazione esclusivamente col sistema contributivo. Si tratta di una misura che permetterebbe ai lavoratori in possesso di contribuzione alla data del 31 dicembre 1995 di accedere in via anticipata alla pensione, “pagando” il prezzo della flessibilità in uscita con una decurtazione del proprio trattamento, alla luce del diverso sistema di calcolo.
Torna di scena l’Inps
Secondo le ultime anticipazioni, non si tratta dell’unica ipotesi sul tavolo, dato che rimangono in campo alcune opzioni alternative, come quella recentemente caldeggiata anche dal Presidente dell’Inps Pasquale
Tridico, fondata sulla possibilità di anticipo della sola quota contributiva della pensione a 62/63 anni, rimanendo ferma a 67 anni la quota retributiva. Tra le diverse opzioni una scelta dovrà essere fatta il tempo stringe ma anche gli eventi sono cambiati. Con il rischio che l’attesa riforma della previdenza resti incagliata tra tentativi di compromesso e uno scenario di crisi che in due mesi ha ridotto il Pil dalle rosee previsioni del 6% a poco più della metà.