venerdì, 22 Novembre, 2024
Energia

Rigassificatori, nuovi impianti e rischi di razionamento

Per la costruzione di nuovi e il potenziamento dei “rigassificatori” esistenti – impianti che permettono di riportare un gas dallo stato fluido a quello gassoso – si annuncia una doppia sfida. Quella tecnologica e quella della corsa contro il tempo. Per l’autonomia energetica e per immagazzinare il gas, oltre ai tre impianti esistenti ne serviranno altri due nuovi. Ma questa è solo la metà dell’opera, perché con l’autonomia energetica e il distacco da gas e petrolio russo, entro fine estate l’Italia dovrà avere tutto pronto, se non vorrà passare un autunno e un inverno al freddo e con erogazioni di gas razionato e distribuito a singhiozzo. Scenario che molti evocano come probabile, dal momento che il ritardo da colmare è grande.

La fretta del premier

A indicare l’urgenza di potenziare le strutture è il premier Mario Draghi. Lo ha sottolineato durante la conferenza stampa dopo la due giorni del Consiglio europeo di Bruxelles. “La questione importante è vedere se noi disponiamo dei rigassificatori: noi oggi ne abbiamo in funzione tre, di cui uno molto grande. La disposizione che è stata data al ministro Cingolani e trasmessa alla Snam è di acquistare altri due rigassificatori, sono navi galleggianti e non sul terreno per i quali ci vorrebbe più tempo”. La partita quindi è iniziata.

I tempi per l’autonomia

Secondo l’idea del premier e il ministro per la Transizione ecologica Cingolani serviranno 8-9 mesi, in autunno ci sarà la possibilità di aumentare la produzione di gas dai giacimenti esistenti e veder realizzati i nuovi impianti. L’alternativa al gas russo però non appare così semplice e il tempo potrebbe dilatarsi a oltre un anno, il che significa dire un inverno a rischio riduzione consumi e tagli nella distribuzione di gas. Per fare presto bisogna immagazzinare gas liquido nei vecchi e nuovi rigassificatori.
“Al momento”, spiega il ministro Roberto Cingolani, “ne abbiamo tre che vanno al 60% della loro capacità di esercizio, e possono essere a breve portati a una efficienza superiore quindi produrre più gas. Dopodiché già per metà di quest’anno installeremo un primo rigassificatore galleggiante”. Quindi difficile averne un quinto in pochi mesi, il che riduce anche le aspettative di totale autonomia. Il primo passo per l’approvvigionamento per ora è fatto, parte del gas del Gnl (gas naturale liquefatto) ci verrà dato dagli Stati Uniti, il gas viaggerà in mare su navi cisterna per approdare ad una nave metaniera ormeggiata al largo delle coste italiane. Il gas verrà trasferito nelle navi, ma non è finita perché bisognerà almeno per i nuovi impianti creare gli allacci verso la terra ferma e provvedere alle tubazioni per la distribuzione. Opere che comporteranno altri mesi. Quindi si potrà per l’autunno solo puntare allo stoccaggio degli impianti esistenti.

Dove sono i rigassificatori

Il primo è l’impianto Olt in Toscana (3,75 miliardi di metri cubi all’anno di capacità autorizzata, partecipata al 49,07% da Snam al 48,24% dal fondo australiano First Sentier Investors mentre il 2,69% è della società di shipping Golar Lng). Il secondo rigassificatore si trova a Panigaglia in Liguria, (3,5 miliardi di metri cubi all’anno, di proprietà di Snam). Il più grande in funzione, è Adriatic Lng (8 miliardi di metri cubi all’anno), sempre fuori costa , a circa 15 chilometri dalla costa, in provincia di Rovigo, (in cui Snam ha il 7,3% il resto è di ExxonMobil 70,7% e Qatar Petroleum 22%).
I nuovi impianti ipotizzati sono legati a diversi progetti in corso. In ballo ci sono Gioia Tauro (Reggio Calabria), ma anche Piombino (Livorno), Porto Empedocle (Agrigento), Falconara Marittima (Ancona).

Quanto possono stoccare?

L’Italia è in affanno energetico e i numeri, malgrado l’impegno a fare presto raccontano una realtà difficile. Il Paese ha un consumo che supera i 70 miliardi di metri cubi standard, l’anno, La domanda è soddisfatta solo per circa il 5% dalla produzione nazionale. Il resto arriva dalla Russia con 33,4 miliardi Smc (pari al 46 per cento), Algeria con 13,4 miliardi Smc (pari al 18,8 per cento), Qatar con 6,5 miliardi Smc (pari al 9,2 per cento), Norvegia con 6,1 Smc (pari all’8,7 per cento) e infine la Libia da cui importiamo 5,7 miliardi Smc (pari all’8 per cento). Da questi numeri si comprende che attualmente  la capacità totale dei tre rigassificatori di cui disponiamo è di circa il 20% del fabbisogno nazionale. Seppure come osserva il ministro Cingolani sono al 60% delle loro capacità. Mentre dal versante dei rifornimenti gli accordi promettono, secondo la valutazione del Ministero della transizione ecologica, di porre a pieno regime gli impianti prendendo gas liquido da Stati Uniti, Canada e Nord Africa, con un apporto di circa 5 miliardi di metri cubi quest’anno, stando così le cose, “15 dei 25 miliardi russi sono già coperti”, calcola Cingolani. L’ottimismo deriva dal fatto che l’Italia può riattivare in stoccaggio anche alcuni siti, ex giacimenti sfruttati o, come si dice in gergo “sfiatati”, su questo fronte di potrà sperare su 13 siti: 9 infrastrutture sono di Snam, 3 di Edison e una del fondo gas storage.

Una sfida difficile

Sulla carta le possibilità di superare una crisi energetica ci sono ma rimane il fatto che i numeri non sono così pacifici. L’Italia, secondo altre valutazioni, è in affanno, se non disperata.
Importiamo oltre al gas dalla Russia anche il 30% di petrolio. “Il prezzo del petrolio schizzerebbe a livello mondiale”, osserva Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, che ricorda anche un altro aspetto problematico, “Il legame fisico con il gas via tubo impedisce qualsiasi compensazione, se non marginale, via nave, con un ammanco verso l’Europa da 150 miliardi di metri cubi che non è nemmeno concepibile”, ha scritto Tabarelli sul Sole 24 ore, “Gas e petrolio sono accumunati dal fatto che nelle loro industrie attualmente non c’è capacità produttiva inutilizzata, perché di investimenti non ne sono stati fatti negli ultimi anni, un po’ per il fatto che i prezzi erano bassi, un po’ per la pressione della finanza e della politica che vuole, spera e sogna, la fine veloce dei fossili”.
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