Per la prima volta dalla Liberazione ad oggi, il più antico e discusso quotidiano della capitale ha esplicitamente accusato di incapacità Virginia Raggi, sindaco pentastellato della città, e ha legato tale constatazione alla condizione di degrado progressivo delle strutture e dei servizi di una metropoli ormai sull’orlo di un possibile collasso.
Non è nella tradizione, né nella linea editoriale del quotidiano il ricorso a toni categorici ed ultimativi: se è accaduto, la spiegazione sta solo nella frattura fra la città reale, che annaspa fra mille problemi dalla raccolta dei rifiuti alla manutenzione di piazze, strade e del verde, fino alla condizione penosa della azienda dei trasporti e della fruibilità della metro, e la solitudine arrogante di una giunta e di una maggioranza che vive in un suo castello di specchi che rimandano l’immagine dei suoi occupanti e non quello che avviene all’esterno.
Più in generale è in questa frattura o incomunicabilità tra mondo dei vivi e un modello di gestione visionario e virtuale che si innestano ed empatizzano segni di disfacimento della coesione sociale con la metastasi di una irresponsabilità crescente e di una crisi valoriale, alla quale fanno argine, non si sa fino a quando, l’istituzione familiare e le opere di solidarietà, per la gran parte di ispirazione cristiana.
Sono fenomeni, questi, che la crisi di una politica che ha smarrito il senso della sua missione certamente aggrava e che non giovano certo all’immagine e alla credibilità dello stesso movimento delle 5 stelle, in caduta verticale anche a Roma rispetto ai consensi di appena un anno fa.
Il rischio è che al collasso, in parte artificioso ed indotto della prima repubblica, si sommi il discredito di nuovi soggetti politici: una condizione, questa, che non gioverebbe di certo a una evoluzione del sistema e che darebbe spazio a quegli umori torbidi dei ribellismo e di nostalgie autoritarie che fermentano nel disagio totale e che pongono a rischio l’avvenire del nostro paese e della stesa Europa.