Un popolo variegato di associazioni, cooperative sociali, del mondo del volontariato dalla Lombardia alla Sicilia protagonisti della trasformazione da beni di cosa nostra ed esclusivi a beni comuni e condivisi. In occasione dell’anniversario della legge per il riutilizzo pubblico e sociale dei beni confiscati alle mafie, Libera ha censito le esperienze di riutilizzo sociale dei beni confiscati. Sono 947 soggetti diversi impegnati nella gestione di beni immobili confiscati alla criminalità organizzata, ottenuti in concessione dagli Enti locali, in ben 18 regioni su 20, in più di 350 comuni. Il 28 % pari a 267 realtà associative si trovano in Sicilia. Nella ricerca Libera ha ricostruito la tipologia di immobili gestiti dai soggetti gestori in Sicilia; in molti casi la singola esperienza di riutilizzo comprende più beni confiscati, anche di tipologia catastale diversa. Il 18% riguarda appartamenti, abitazioni indipendenti, immobili; il 16% ville, fabbricati su più livelli e di varia tipologia catastale, palazzine; il 22% terreni agricoli, edificabili e di altra tipologia (anche con pertinenze immobiliari); il 20% locali commerciali o industriali, capannoni, magazzini, locali di deposito, negozio, bottega, uffici.
Libera con la ricerca “Fattiperbene” le pratiche di riutilizzo sociale dei beni confiscati vuole raccontare, dopo ventisei anni, una nuova Italia, che si è trasformata nel segno evidente di una comunità alternativa a quelle mafiose, che immagina e realizza un nuovo modello di sviluppo territoriale.
Complessivamente secondo i dati dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (al 25 febbraio 2022) In Sicilia sono 7406 i beni immobili (particelle catastali) destinati ai sensi del Codice antimafia e sono invece in totale 7328 gli immobili ancora in gestione ed in attesa di essere destinati. Sono invece 536 le aziende siciliane confiscate e destinate mentre sono 979 quelle ancora in gestione.
Inoltre, secondo la Relazione Ministero della Giustizia al 30 giugno 2021, i procedimenti relativi alle misure di prevenzione patrimoniali, inseriti in Banca dati centrale (Bdc) sin dal 1997, risultano essere 10.500, con un incremento di 498 unità rispetto ai 10.002 rilevati al 30 giugno 2020. I dati evidenziano la prevalenza di procedimenti iscritti da uffici appartenenti all’area meridionale cui – negli anni 2019/2021 – appare riconducibile il 44% dei 1.194 procedimenti rilevati a livello nazionale. Scendendo più nel dettaglio in merito alla distribuzione geografica degli uffici procedenti, può segnalarsi come nel triennio 2019-2021 siano stati iscritti 246 nuovi procedimenti in Sicilia, 218 in Calabria, 184 in Campania. I distretti giudiziari di Reggio Calabria (166), Napoli (164) e Palermo (152) risultano quelli con il numero maggiore di nuovi procedimenti iscritti nel triennio.
“Dal 7 marzo del 1996 – commenta Libera – la restituzione alla collettività delle ricchezze e dei patrimoni sottratti alle organizzazioni criminali è diventata un’opportunità di impegno responsabile per il bene comune. La dimensione etica dei percorsi scaturiti dalle esperienze di riutilizzo per finalità sociali si trova, infatti, nella corresponsabilità che ha trasformato quei beni da esclusivi a beni comuni e condivisi. Raccontare quello che avviene ogni giorno sui beni confiscati alle mafie vuol dire raccontare il cambiamento che giorno dopo giorno si costruisce, con l’obiettivo di dare vita a nuove pratiche di economia e di sviluppo sostenibile”.
“Gli importanti risultati raggiunti in termini di aggressione ai patrimoni delle mafie, della criminalità economica e dei corrotti e le sempre più numerose esperienze positive di riutilizzo sociale, richiamano sempre più l’attenzione sulle criticità ancora da superare e sui nodi legislativi ancora da sciogliere che richiedono uno scatto in più da parte di tutti – aggiunge Libera -. Per queste ragioni, chiediamo con urgenza e rilanciamo le seguenti proposte: Prevedere l’attuazione della riforma del Codice Antimafia del 2017 nelle sue positive innovazioni, assicurando una gestione efficiente dei beni sin dalla fase del sequestro fino alla confisca definitiva, una maggiore celerità nelle procedure di destinazione e l’attribuzione di adeguati strumenti e risorse agli uffici giudiziari e all’Agenzia nazionale; Rendere il riutilizzo pubblico e sociale dei beni confiscati uno strumento di crescita e sviluppo economico per le comunità territoriali, tramite adeguate forme di progettazione partecipata e di collaborazione tra Enti locali e terzo settore; Aumentare la trasparenza delle Pubbliche Amministrazioni, attraverso la piena e completa accessibilità alle informazioni riguardanti i beni confiscati, affinché sia da stimolo per la partecipazione democratica dei cittadini e delle cittadine”.
“E poi – prosegue Libera – utilizzare una quota del Fondo unico giustizia, delle liquidità e dei capitali sequestrati e confiscati a mafiosi e corrotti per sostenere il percorso di destinazione e di assegnazione dei beni confiscati e promuovere forme di imprenditorialità giovanile, di economia sociale e mutualismo;
evitare che tanti beni immobili possano rimanere ‘accantonati’, in attesa delle verifiche dei crediti in buona fede, e successivamente destinati alla vendita; Tutelare il lavoro nelle aziende sequestrate e confiscate, sostenendo la rinascita di queste esperienze e la loro continuità produttiva, anche attraverso la costituzione di cooperative promosse dagli stessi lavoratori”.