Nei sei anni trascorsi tra la “COP25 di Parigi” del 2015 e la COP26 di Glasgow del 2021 l’economia globale ha consumato mezzo trilione di tonnellate di materiali vergini, il 70% in più di quanto la Terra possa reintegrare in sicurezza. Non solo, il 90% di tutti i materiali estratti e utilizzati viene sprecato, solo l’8,6% rientra nella nostra economia. Secondo il “Circularity gap report 2022” del think tank Circle economy, gli indici mostrano una situazione che sta peggiorando e non migliorando come si penserebbe: in soli due anni, la circolarità globale è passata dal 9,1% del 2018 all’8,6% del 2020.
Consumi, rifiuti e inquinamento sono correlati
In soli 50 anni, l’uso globale dei materiali è quasi quadruplicato, passando dai 28,6 miliardi di tonnellate nel 1972 ai 100 miliardi di tonnellate del 2019 a danno del nostro patrimonio naturale. Se non si interviene sul modo in cui li utilizziamo per soddisfare i nostri bisogni, non si riuscirà neanche a ridurre significativamente le emissioni globali di gas serra. Il 70% di esse, infatti, sono legate alla all’estrazione, lavorazione, consumo e smaltimento delle materie prime, che come abbiamo detto non vengono riutilizzate per il 91,4%. Infine, l’estrazione di risorse a fini commerciali risulta essere responsabile per il 90% della perdita di biodiversità. “Nell’economia lineare – ha commentato i risultati dello studio una degli autori, Laxmi Adrianna Haigh – abbiamo ancora troppe risorse in entrata e troppe emissioni in uscita”.
L’Italia in vantaggio
L’Italia sembrerebbe comportarsi meglio di altri Paesi europei ma sempre al di sotto della soglia necessaria. Secondo gli ultimi dati forniti da Eurostat, nel 2019 il tasso di utilizzo circolare dei materiali (Cmu) medio nella UE 27 è dell’11,9% (in crescita dello 0,3% rispetto al 2018) e l’Italia, confrontata con i cinque principali Paesi europei, si piazza seconda con un Cmu al 19,3%, preceduta solo dalla Francia. Ma sempre con l’80,7% della nostra economia ancora non “circolare”.
Più alto è l’indice di confort e più si alzano i consumi
Sono soprattutto i Paesi a reddito più elevato (Medio Oriente, Australia, Stati Uniti d’America, Giappone, Argentina e gli Stati membri dell’Unione Europea) che debbono ripensare i propri stili di vita e frenare il consumo eccessivo delle risorse del pianeta. Come si legge nel Report, ospitano una minoranza della popolazione mondiale, ma consumano il 31% delle risorse e generano il 43% delle emissioni. Sono i maggiori consumatori rispetto a tutti i gruppi di materie vergini e la loro estrazione di combustibili fossili è elevata, così come la loro partecipazione al commercio globale. Se da una parte i loro punteggi dell’HDI (Human Development Index) sono sempre più alti e gli stili di vita confortevoli, sono proprio quelli che hanno davanti la strada più lunga per raggiungere consumi in linea con la sopravvivenza del pianeta e della specie umana.