Il problema della concorrenza si è posto in termini nuovi, in seguito dell’adesione del nostro Paese all’Unione europea. Nel nostro codice civile essa viene contemplata quale meccanismo di tutela degli imprenditori. A questa logica si ispira, infatti, la normativa in materia di concorrenza sleale, la quale presuppone un conflitto tra imprenditori e tende a scongiurare l’eventualità che un operatore economico si appropri di fette di mercato attraverso pratiche «sleali». La successiva Costituzione repubblicana all’art. 41 prevede il principio di libertà di iniziativa economica, ma da tale dato normativo non era chiaramente possibile desumere una compiuta disciplina idonea a funzionalizzare la concorrenza al corretto funzionamento del mercato.
Se si considera che la concorrenza rappresenta un elemento-cardine di ogni economia di mercato aperta, era inevitabile che essa assurgesse a principio identificativo dell’ordinamento italo-europeo. La realizzazione di politiche competitive ha trovato fondamento non solo dall’art. 3, paragrafo 3, TUE («L’Unione instaura un mercato interno […] si adopera per lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente»), ma anche e soprattutto dagli artt. 101 ss. TFUE, appunto contenenti le «Regole di concorrenza» e vietanti le intese restrittive, l’abuso di posizione dominante, le concentrazioni e, infine, i c.dd. aiuti di Stato.
È proprio per tale ragione che, malgrado taluni abbiano ravvisato nell’art. 41 Cost. un riferimento di diritto per così dire “interno” in ordine alla concorrenza, la Corte costituzionale – nella sentenza n. 14/2004 – ha chiarito che detta nozione non può essere adeguatamente compresa se non facendo capo (anche) al diritto europeo. E la Consulta ha altresì chiarito, in quella stessa pronuncia, che il fatto che l’art. 117, comma 1, Cost., nel testo novellato, affidi alla «potestà esclusiva» dello Stato la «tutela della concorrenza» (v. la lettera e)), certifica l’atteggiarsi della concorrenza stessa fra le “[…] leve della politica economica statale e pertanto non può essere intesa soltanto in senso statico, come garanzia di interventi di regolazione e ripristino di un equilibrio perduto, ma anche in quell’accezione dinamica, ben nota al diritto comunitario, che giustifica misure pubbliche volte a ridurre squilibri, a favorire le condizioni di un sufficiente sviluppo del mercato o ad instaurare assetti concorrenziali”.
Ora, le due crisi economico-sociali – l’una originata dagli Stati uniti negli anni 2007-2008, e poi ripercossasi sui debiti sovrani dell’Unione europea; l’altra collegata alla pandemia hanno determinato un’indiscutibile intensificazione delle politiche concorrenziali. Queste ultime hanno definitivamente travalicato la dimensione stricto sensu “economica” che inizialmente le connotava sicché nella concorrenza si è potuto intravvedere il vettore di realizzazione di politiche ulteriori, come la protezione dei consumatori e, più in generale, la realizzazione di una società più giusta, equa e solidale (arg. ex art. 3, comma 2, Cost.).
Non è un caso che, proprio a ridosso della prima crisi, l’art. 47 della legge 23 luglio 2009, n. 99, recante «Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia», abbia introdotto l’obbligo di presentare una «Legge annuale per il mercato e la concorrenza».
A dispetto delle numerose sollecitazioni dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM), solo otto anni dopo il Governo è riuscito a far approvare la legge 4 agosto 2017, n. 124, ossia la prima «Legge annuale».
Anche in esito alla seconda crisi, vale a dire quella pandemica, l’attenzione delle autorità nazionali e sovra-nazionali si è rivolta alla più intensa realizzazione di politiche concorrenziali. Il riferimento corre al «Next Generation EU» (NGEU), Il nostro Paese, sommando tutte le utilità per rispondere alla crisi, avrà a disposizione circa 250 miliardi di euro, e non è un caso che ancora una volta la concorrenza svolga un ruolo essenziale.
Nel PNRR – sotto il profilo dei cambiamenti strutturali – si parla di quattro riforme c.dd. di contesto: quella della P.A., quella della giustizia, la «semplificazione della legislazione» e, appunto, da ultimo, la «promozione della concorrenza». Nella Premessa del documento (p. 4) si legge che “un fattore essenziale per la crescita economica e l’equità è la promozione e la tutela della concorrenza” e che quindi “[…] la concorrenza non risponde solo alla logica del mercato, ma può anche contribuire ad una maggiore giustizia sociale”. In particolare, l’implementazione delle politiche concorrenziali – secondo il PNRR – include (cfr. p. 75 ss.): a) la realizzazione e la gestione di infrastrutture strategiche; 2) la rimozione di barriere all’entrata nei mercati; c) la concorrenza e i valori sociali; d) il rafforzamento dei poteri di antitrust enforcement e dei poteri di regolazione settoriale; e) la vigilanza del mercato e conformità dei prodotti. Per la più completa esecuzione di questi obiettivi, il Piano rinvia alla «Legge annuale per il mercato e la concorrenza» 2021, e sono attualmente in corso le audizioni al Senato per la sua approvazione.