Cinque anni fa l’Italia firmava un memorandum con la Libia per bloccare i migranti e non farli arrivare in Europa. In questi cinque anni, secondo fonti internazionali, circa 82mila persone sono state intercettate dalla guardia costiera libica e riportate forzatamente nel Paese da cui cercavano di scappare. La Libia oggi come allora non è un Paese sicuro. Sono ampiamente documentate violazioni sistematiche di convenzioni internazionali sull’asilo e sul rispetto dei diritti umani.
“L’Italia, assecondando le politiche di chiusura europea, continua ad essere complice di un abominio – denuncia Padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli -. In questi 5 anni abbiamo ascoltato ogni giorno i racconti di chi è riuscito ad arrivare vivo in Italia, affidandosi ai trafficanti, una percentuale minima dei tanti che hanno provato invano ad attraversare il Mediterraneo, uomini e donne per lo più molto giovani. In tanti portano i segni delle torture subite, parlano di amici, parenti, figli morti di stenti o uccisi davanti ai loro occhi. Le donne che assistiamo sono quasi tutte vittime di violenze e torture”.
Il Centro Astalli chiede di porre fine all’accordo e di investire risorse per evacuare i migranti dalla Libia, come è stato fatto in passato per piccole quote di persone vulnerabili e prevedere vie di ingresso legali e sicure:
- canali umanitari e programmi di reinsediamento stabili e strutturali per quote significative e proporzionali di richiedenti asilo e rifugiati gestiti da Governi nazionali con il supporto delle Nazioni Unite e delle ong;
- quote di ingresso per lavoratori immigrati adeguate non solo al bisogno di manodopera, ma alle reali possibilità di accoglienza e integrazione di un continente di 450milioni di abitanti che nel 2021 ha accolto meno di 200mila migranti (dati Frontex);
- una operazione di ricerca e soccorso capillare nel Mediterraneo, fino a che non verrà spezzato il giogo dei trafficanti, con una gestione programmata e strutturale dei flussi migratori verso l’Europa.