Si fanno sentire forte gli applausi nella capitale, in un teatro traboccante di spettatori, per Carrozzeria Orfeo che dopo Thanks for Vaselina, Animali da Bar e Cous Cous Klan, ritorna con Miracoli metropolitani, drammaturgia di Gabriele Di Luca, che firma anche la regia insieme a Massimiliano Setti e Alessandro Tedeschi.
Quello a cui si è assistito in queste due settimane – dall’11 al 23 gennaio – al Teatro Vascello è stato davvero un miracolo… forse il più atteso da chi il teatro lo fa e da chi lo guarda.
E se con la precedente trilogia – tra esistenzialismo e distopia, com’è nel loro stile – la scena è sempre attraversata da temi che affrontano, e spesso scherniscono, le dinamiche e le ipocrisie della nostra società, l’ultimo lavoro mostra con ancora più coerenza tutta la sua aderenza al nostro tempo.
Dalla difficoltà di relazionarsi e comprendere l’altro, al decadimento di una civiltà sempre più chiusa in se stessa, distaccata dalla realtà e arroccata nel parallelo mondo del web, fino all’incapacità – o codardia – di trovare le cause reali del dissesto.
Miracoli metropolitani è “il racconto di una solitudine sociale e personale dove ogni uomo, ma in fondo un’intera umanità, affronta quotidianamente quell’incolmabile vuoto che sta per travolgere la sua esistenza”.
Un testo con una forte impronta politica poiché, nel prefigurare lo scenario di un futuro possibile, richiama a una responsabilità individuale e sociale per scongiurare il ritorno a “quelle derive populiste ed estreme che nel passato hanno fatto precipitare nell’orrore del fascismo, qui, inteso non solo nella sua accezione politica ma esistenziale”.
Mentre la popolazione è nel panico, costretta all’auto-reclusione, a causa dello straripamento delle fogne, sature di spazzatura e rifiuti tossici, una vecchia carrozzeria riadattata a cucina specializzata in cibo a domicilio per intolleranti alimentari fa da cornice a otto personaggi.
Il distopico che viene messo in scena, con la narrazione di una società in cui i trasporti sono fermi, la disoccupazione è al 62%, le attività commerciali cadono come mosche e la Messa si celebra in streaming, è ciò che la pandemia – come causa d’innesco – ci ha imposto come presente e non più come futuro evitabile.
E mentre la società è sommersa da escrementi – metafora di idee e azioni avvelenate – si cerca un capro espiatorio, come accade oggi, senza indagare a fondo le cause del problema, puntando il dito contro il soggetto più esposto.
Pertanto, è con occhio lungimirante – se vogliamo preveggente – che è iniziata la scrittura di Miracoli metropolitani, precedente all’emergenza sanitaria da Covid-19.
Una scrittura che non tradisce: sferzante e ironica dai dialoghi serrati, che danno ritmo e mordente ai momenti in cui con più introspezione e delicatezza si indagano l’esistenza umana e la morte.
Straordinari gli interpreti: lo chef (Federico Vanni), la moglie (Beatrice Schiros), il figliastro (Federico Gatti), la lavapiatti (Ambra Chiarello), la nonna (Elsa Bossi), l’attore (Aleph Viola), e l’aspirante suicida (Massimiliano Setti).