“Una star del tennis può influenzare persone di tutte le età, soprattutto i giovani, e spingerli ad emularlo”. E’ uno dei passaggi chiave nelle motivazioni della sentenza della Federal Court che ha confermato l’espulsione di Novak Djokovic dall’Australia. La Corte federale australiana ha pubblicato i motivi per cui è stata confermata la decisione del ministro dell’Immigrazione, Alex Hawke, nei confronti del numero 1 del tennis mondiale.
I giudici, secondo quanto riportato da Supertennis, hanno respinto le obiezioni dei legali del serbo in merito alle presunte convinzioni del loro assistito sui vaccini, al presunto rischio per l’ordine e la salute pubblica dovuto alla sua presenza e infine l’irrazionalità della decisione di revocargli il visto.
La parte importante è soprattutto quella sull’ordine pubblico e la Corte dà ragione al ministro che ha ritenuto che la presenza di Djokovic e la sua partecipazione agli Australian Open “avrebbe potuto incrementare il sentimento anti-vaccini”.
Una preoccupazione, quella del ministro Hawke, che “non riguarda soltanto i gruppi anti-vaccini, alcuni dei quali hanno posizioni estreme e possono rappresentare un rischio per il buon ordine o l’ordine pubblico nella comunità, ma anche chi semplicemente è indeciso se vaccinarsi o meno”.
Inoltre, i giudici sottolineano come l’aver confermato l’intervista con L’Equipe del 18 dicembre e aver effettuato il successivo servizio fotografico senza protezioni pur sapendo di essere positivo, dimostra una “scarsa considerazione delle misure di prevenzione da parte di Djokovic che, se emulata, potrebbe incoraggiare una violazione delle regole in Australia”.
La Corte ricorda che il ministro ha il potere di revoca del visto se ritiene che “la presenza del possessore possa costituire una minaccia alla salute, la sicurezza, l’ordine della comunità australiana”. La sentenza ha a che fare con “l’incitamento, l’emulazione che un’icona sportiva può generare”. Infine secondo la Corte le tesi difensive dei legali di Djokovic non sono riuscite a dimostrare che il ministro “abbia agito illecitamente”.