lunedì, 18 Novembre, 2024
Attualità

Governo-sindacati sulla previdenza. Flessibilità in uscita. Ipotesi Inps: taglio del 3% solo per gli anni decurtati

Per le riforma della previdenza, arrivano nuove ipotesi di “flessibilità di uscita”. Calcoli che vanno nella direzione auspicata dai sindacati che sollecitano di superare “le rigidità ragionieristiche della Legge Fornero”. Ieri pomeriggio i leader di Cgil, Cisl e Uil, Landini, Sbarra e Bombardieri (accompagnati dai segretari confederali), con i ministri del Lavoro Andrea Orlando e quello dell’Economia Daniele Franco, hanno valutato tra l’altro, le ipotesi emerse dai nuovi scenari tecnici formulati dall’Inps, e tra queste quella di un pensionamento anticipato con un taglio dell’assegno del 3% della quota retributiva per ogni anno decurtato rispetto alla soglia di vecchiaia. Ipotesi che permetterebbe al lavoratore di lasciare l’impiego tra i 62-63 anni, così come chiesto dai sindacati. Il nodo rimane il livello economico dell’assegno pensionistico che per Cgil, Cisl e Uil deve essere aumentato e non ridotto.

 

Ipotesi e conti

L’incontro tenuto al Ministero del Lavoro è stato utile per fare chiarezza su alcuni punti economici controversi, in modo da agevolate la discussione tecnica sul previsto focus dedicato a giovani e le donne. I sindacati, ad esempio, hanno preso atto che il Consiglio di indirizzo e vigilanza (Civ) dell’Inps, ha presentato nuove ipotesi che possono date na svolta alla riforma. In primo luogo sono emersi i conti della contestata “Quota 100”, (62 anni d’età e 38 di contributi),uscita di scena a fine 2021, cancellata dal Governo Draghi per fare posto a Quota 102 (almeno 64 anni e di un’anzianità contributiva minima
di 38 anni) e tutto basato sul metodo contributivo.

In merito a Quota 100 – indicata come eccessivamente dispendiosa – le cifre, invece, raccontano che lo Stato ha speso meno del previsto. Secondo i calcoli presentati ieri, lo scorso anno risultavano liquidati
poco più di 355mila trattamenti con “Quota 100” per un costo fino a settembre di 19,5 miliardi, pari a meno della metà del fabbisogno complessivo di oltre 46 miliardi come era stato preventivato nel 2019, e anche dei 41,3 miliardi stimati per l’anno successivo. I dati danno una mano ai sindacati che ricordano come non sia la spesa previdenziale a mettere in difficoltà i bilanci dello Stato.

Confronto sulle opportunità

Posto che il futuro lo schema sarà collegato solo al calcolo contributivo, le possibilità che sono state indicate sono quelle che permettono, partendo da una età minima, l’uscita anticipata “subendo una
riduzione della quota retributiva della pensione – intorno al 3% per ogni anno di anticipo rispetto all’età legale -, che compensi, in modo attuarialmente equo, il vantaggio della sua percezione per un numero
maggiore di anni”. Misura che “offrirebbe un’opportunità in più a tutti i lavoratori”. In altri versi c’è più libertà di scelta senza troppi vincoli e con meno dispendio di risorse pubbliche. Su questo tema il
confronto proseguirà perché occorrerà individuare una soglia minima di uscita dal lavoro.

Le ragioni dei sindacati

Sulla riforma della previdenza i sindacati hanno una linea comune, c’è la massima è ritrovata intesa tra Landini, Sbarra e Bombardieri che ritengono come i lavoratori italiani non solo abbiano diritto ad una
pensione congrua con i loro versamenti ma soprattutto, l’abolizione la legge Fornero che aveva portato a 67 anni l’uscita dal lavoro, età giudicata eccessiva e fuori dagli standard Europei. Ieri in uno studio
reso noto dal Sole24ore realizzato da Michele Reitano, componente della Commissione tecnica istituita dal ministero del Lavoro per studiare la separazione dell’assistenza dalla previdenza, si fa chiarezza su molte questioni controverse, come ad esempio “la retorica di chi ritiene ancora limitata l’età di ritiro in Italia grazie alle presunte troppe scappatoie che verrebbero offerte dalla nostra disciplina pensionistica”.

Sulla base delle elaborazioni del Consiglio di indirizzo e vigilanza (Civ)-Inps, il professor Michele Reitano sottolinea che “prendendo a riferimento unicamente le pensioni anticipate e di vecchiaia l’età di ritiro fra i dipendenti privati è attualmente pari a 64,1 e 63,2 anni, rispettivamente fra donne e uomini. Valori non
dissimili (63,9 e 63,5 per donne e uomini) si osservano nel pubblico impiego, mentre l’età di pensionamento effettiva è lievemente più elevata (64,8 e 64,0) nelle gestioni autonome Inps”.

Di fatto quindi già ora l’età di uscita è in linea con le proposte del Governo e in parte con quelle dei sindacati. Cgil, Cisl e Uil chiedono di più, che la riforma attui un ampliamento delle possibilità d’uscita dal lavoro con una estensione dei programmi Anticipo Pensione (Ape sociale) e Opzione donna, mentre Quota 102 che durerà solo questo anno dovrà essere sostituita da un regime contributivo ma, osservano, i sindacati che sia
economicamente in favore dei lavoratori.

Proposte per i giovani

L’incontro è servito ai sindacati per presentare gli interventi a garanzia dei giovani. Per Domenico Proietti segretario confederale della Uil, “Bisogna introdurre nel sistema contributivo un meccanismo che
garantisca future pensioni adeguate ai lavoratori. Ma non pensiamo ad un’automatica integrazione al minimo”, spiega il dirigente sindacale, “bensì ad un meccanismo che sappia valorizzare l’anzianità contributiva, i periodi di formazioni scolastica e professionale, che tuteli il lavoro di cura e che riconosca una copertura anche a tutti i periodi di disoccupazione nei quali il lavoratore è stato comunque attivo nella
ricerca di impiego”.

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