Avv. de’ Capitani, il ministro Giorgetti ha ipotizzato l’introduzione di una supertassa sui produttori di energia, che secondo alcuni stanno beneficiando del rialzo del costo delle materie prime e accumulando profitti straordinari. È una novità?
La proposta di Giorgetti ricalca quello che è stato fatto in Spagna pochi mesi fa. Per contrastare il rincaro dei prezzi dell’energia e aiutare quindi consumatori e imprese energivore il Governo Sánchez ha da un lato ridotto gli oneri fiscali in bolletta, e dall’altro introdotto un prelievo straordinario sui profitti del settore energetico. Già nel 2008, inoltre, il Governo Berlusconi aveva introdotto la cosiddetta Robin Hood Tax sui produttori e distributori di energia, e non mancano altri precedenti stranieri, come la Crude Oil Windfall Profits Tax americana del 1980. In situazioni di crisi, insomma, non si tratta di strumenti sconosciuti.
Sono misure che possono risolvere la crisi dei prezzi cui assistiamo?
Si tratta evidentemente di misure transitorie, che servono per riequilibrare, o meglio attutire, l’impatto di un mercato che si è mosso repentinamente a causa di fattori internazionali. La fiscalità può certamente servire in questo frangente sia, appunto, come strumento di redistribuzione, sia politicamente, ma è evidente che la soluzione strutturale stia altrove, nel superamento delle tensioni internazionali e, in casa nostra, nell’incremento della produzione domestica, per esempio sbloccando i tanti progetti di energie rinnovabili da anni in attesa di autorizzazione.
La Robin Hood Tax è stata poi dichiarata incostituzionale; crede che il Governo voglia davvero seguire quel percorso?
È chiaro che quando Giorgetti accenna alla necessità di approfondimenti da parte dei Ministeri ha bene in mente il problema: la sentenza 10/2015 della Corte costituzionale ha confermato la legittimità di un prelievo straordinario in circostanze straordinarie, ma ha posto paletti ben precisi. Un prelievo straordinario dovrebbe rimanere tale, e quindi essere limitato ad un arco temporale ben definito.
E questo sarebbe anche facilmente risolvibile; che altro?
La nostra Costituzione consente di discriminare e super-tassare uno specifico settore economico, si pensi a quanto previsto per bonus e stock options del settore finanziario o all’IRAP, sempre in quel settore. Ma servono validi motivi; il prelievo non può essere arbitrario e occorre pertanto che vi sia coerenza tra le premesse dichiarate e il meccanismo del prelievo che si va ad attuare. Tra le altre cose, la Robin Hood Tax fu dichiarata incostituzionale perché, nonostante il divieto di traslarne l’onere a valle, finiva per comportare un incremento delle bollette. L’Autorità della Concorrenza non riuscì ad impedirlo, ma mi sento di dire che l’errore fu di chi aveva pensato che questo fosse possibile, più che dell’Autorità.
Quale sarebbe la base imponibile?
Anche la scelta della base imponibile dovrà essere coerente con le premesse: si dice di voler colpire chi starebbe approfittando della situazione di mercato per accumulare profitti mostruosi, fuori dalla norma, secondo alcuni addirittura indecenti. Si tratta di profili delicatissimi, che meriterebbero toni più pacati, anche perché le imprese del settore energetico sono da sempre strategiche per il nostro Paese, e se possibile oggi lo sono ancora di più nel contesto della transizione alle fonti rinnovabili: un’imposta mal calibrata rischierebbe di comprometterne la capacità di investimento e di innovazione. Altri Paesi si guardano bene dal tassare i loro campioni. Del resto, proprio la Robin Hood Tax fu censurata anche per questo: non colpiva i super-profitti, quelli eccedenti il rendimento ordinario del capitale, ma tutto il reddito delle imprese energetiche e non distingueva nemmeno tra produttori e distributori di energia, che si trovavano evidentemente in situazioni molto differenti rispetto all’incremento dei prezzi della materia prima e alla possibilità di beneficiarne.
E poi, perché tassare solo il settore energetico? Non ci sono altri settori, o in alcuni casi addirittura singole imprese, spesso multinazionali, che durante la pandemia hanno visto crescere i loro profitti? Se si seguono gli umori si prende una piega che è poi difficile gestire e tutti i settori dell’economia possono trovarsi esposti a ondate di protesta e “rimedi” fiscali conseguenti. Oggi tocca alle imprese dell’energia, ma perché allora non pensare a banche, gestori di infrastrutture pubbliche e così via, l’unico limite a quel punto sarebbe la fantasia.
Insomma, non la trovo entusiasta.
Come ho detto, est modus in rebus, e vedremo cosa produrranno le analisi del MEF; ma credo che ci siano rimedi migliori e meno ingiusti, come per esempio un’imposta sui super-profitti pandemici, non limitata un singolo settore. Voglio ricordare che si tratta di questioni delicatissime: pur dichiarando l’incostituzionalità della Robin Hood Tax, per non compromettere l’equilibrio del bilancio statale la Consulta fu costretta a limitare gli effetti della sua pronuncia soltanto al futuro, impedendo quindi alle imprese di ottenere il rimborso e di fatto avallando una ingiustizia perché eliminarla sarebbe costato troppo; il nostro legislatore, in quell’occasione, non scrisse una bella pagina di storia della fiscalità.