Il rapporto relativo al bilancio di welfare delle famiglie italiane 2022 fa parte del progetto con il quale Cerved intende contribuire, con il suo patrimonio di dati, modelli analitici e competenze, allo sforzo di ripresa e rinnovamento del Paese. Il Bilancio di welfare delle famiglie italiane è giunto alla terza edizione. Le prime due edizioni, nel 2017 e 2019, sono state attuate e presentate da MBS Consulting, società di consulenza del Gruppo Cerved. In tutte le edizioni le ricerche e le analisi sono a cura di Innovation Team, unità di ricerca del Gruppo Cerved. Il rapporto è stato chiuso con le informazioni disponibili al 22 novembre 2021. Esso si basa su una indagine campionaria svolta in più fasi per verificare l’evoluzione dei comportamenti familiari da aprile 2020 a novembre 2021. La fonte dei dati, se non indicata nei grafici, è questa ricerca di Innovation Team.
Il modello di classificazione del welfare familiare è stato suddiviso in otto aree: salute; assistenza agli anziani e ai familiari bisognosi di aiuto (6,5 milioni di famiglie con persone che per età o per condizione di salute necessitano di accompagnamento o assistenza); cura dei bambini ed educazione prescolare; assistenza familiare generica (colf); istruzione (dalla scuola primaria alla formazione universitaria e postuniversitaria); cultura e tempo libero (incluse le spese per sport e spettacolo); supporti al lavoro, ovvero le spese di mobilità e pasti per recarsi al lavoro; previdenza e protezione, ovvero i versamenti per la pensione integrativa individuale e le assicurazioni contro i rischi personali e domestici.
Secondo il rapporto il fattore che più di tutti determina l’evoluzione dei bisogni e della spesa di welfare è il cambiamento della famiglia: nella struttura demografica, nei comportamenti di relazione, nel rapporto tra i generi e le generazioni. La famiglia non è solo l’utente dei servizi pubblici e privati, è anche la struttura di base del sistema di welfare, la rete primaria di protezione sociale. I livelli di sicurezza e di coesione sociale nel nostro paese dipendono in larga misura dalla capacità della famiglia di assicurare la solidarietà tra i generi e tra le le generazioni, proteggere le persone fragili, gestire il percorso educativo dei giovani, garantire la continuità del benessere con la trasmissione patrimoniale. Le difficoltà del nostro sistema di welfare non possono dunque essere interpretate esclusivamente come effetto degli squilibri demografici e finanziari che riducono le capacità di prestazione delle istituzioni del welfare pubblico, né come mera conseguenza di un lungo ciclo di politiche di bilancio restrittive. Al fondo della crisi c’è il cambiamento della famiglia, la sua crescente fragilità nel garantire la coesione sociale e nell’esercitare il suo ruolo di protezione, e l’espansione della domanda provocata da questo cambiamento e dalla molteplicità dei profili e dei bisogni familiari.
Le pari opportunità passano anche per il sostegno alla famiglia. A questa famiglia in pieno cambiamento, ai numerosi profili di relazione familiare e ai molteplici bisogni emergenti che non trovano risposta nell’attuale sistema di welfare. Il tema della conciliazione vita-lavoro è divenuto centrale non solo per le aziende ma per l’intera organizzazione sociale, e pone la necessità di un cambiamento su entrambi i fronti. Nelle aziende richiede che si affermino modelli organizzativi flessibili e culture di management capaci di valorizzare l’autonomia e la responsabilità delle persone nella scelta dei tempi, dei luoghi e delle modalità di lavoro.
Nella società richiede lo sviluppo di una rete di servizi di prossimità, configurati sui bisogni familiari. In numerose aree abbiamo citato il welfare aziendale come esperienza innovativa, capace di riempire un vuoto nel nostro sistema di welfare. Sul tema della conciliazione ciò è ancora più vero, perché le imprese impegnate nel welfare aziendale agiscono su entrambi i fronti, modificando l’organizzazione e le culture del lavoro e generando servizi per le famiglie dei lavoratori e per le comunità locali.
Il 26,6% delle medie e piccole imprese italiane hanno intrapreso un livello elevato di iniziativa su questo tema.
Le entrate da welfare pubblico, da sempre elemento fondamentale della struttura reddituale delle famiglie, in questi anni di emergenza sanitaria hanno avuto un ruolo decisivo nel garantire la tenuta dei redditi familiari e limitare l’impoverimento. Queste prestazioni, aumentate in maniera consistente rispetto agli anni precrisi, contribuiscono per il 37,6% alle entrate delle famiglie.
Il loro valore è cresciuto da 257 miliardi nel 2018 (pari al 32,1% delle entrate familiari) a 302 nel 2020. Nel 2021 è di 294 miliardi.
Il volume della spesa di welfare delle famiglie nel 2021 è stato di 136,6 miliardi, pari al 7,8% del PIL. Ogni famiglia ha speso mediamente 5.317 euro: 17,5% del reddito familiare netto. La salute (38,8 miliardi) e l’assistenza agli anziani e ad altri familiari bisognosi di aiuto (29,4 miliardi) sono le aree più importanti: assorbono nell’insieme il 50% della spesa di welfare familiare.
La terza area per volume è quella dei supporti al lavoro: 25 miliardi l’anno per trasporti, pasti e altri servizi di mobilità.
Poi l’istruzione dei figli, con una spesa familiare di 12,4 miliardi; l’educazione prescolare e la cura dei bambini: 6,4 miliardi; 11,2 miliardi per l’assistenza familiare generica. La spesa per la previdenza integrativa e la protezione assicurativa è di 8,3 miliardi. L’area più piccola è quella della cultura e del tempo libero, con una spesa di 5,1 miliardi.
La salute ha subito una flessione nel 2020. La pandemia ha ridotto in quell’anno il flusso delle prestazioni sanitarie, sia per la riduzione di capacità delle strutture mediche sia per la restrizione della mobilità e la rinuncia alle cure da parte dei pazienti, ma la tendenza generale della spesa sanitaria delle famiglie è di continua e forte crescita: da 37,7 miliardi nel 2018, dopo la flessione del 2020 (37,2 miliardi) è tornata a salire e oggi sfiora i 39 miliardi.
Diversamente dalle spese sanitarie, l’assistenza agli anziani ha registrato nel 2020 un picco di crescita provocato dalla necessità per le famiglie di provvedere alle difficoltà del sistema assistenziale provocate dall’emergenza Covid. Ma, indipendentemente da quell’anno, il trend di lungo termine è di forte aumento: dai 25,3 miliardi nel 2017 agli attuali 29,4.
Cresce anche la spesa per l’istruzione dei figli: 9,6 miliardi nel 2017, 10,5 nel 2018, poi un deciso incremento (12,2 miliardi) anche per far fronte alle spese di attrezzatura tecnologica richieste dalla DAD, e nel 2021 una ulteriore crescita a 12,4 miliardi. Al contrario dell’istruzione, le spese per la cura dell’infanzia e l’educazione prescolare sono crollate nel 2020 a causa della chiusura di nidi e asili; sono poi tornate ad aumentare, passando nel 2021 da 4 a 6,4 miliardi e raggiungendo il livello del 2017.
Il trend della previdenza e protezione è di continua e graduale espansione. Le altre aree hanno subito nel 2020 le restrizioni imposte dalla pandemia: in quell’anno si è ridotto l’utilizzo delle colf ed è aumentato il lavoro domestico a carico dei familiari; sono rimasti lungamente chiusi i luoghi di spettacolo e di svago, provocando il crollo della spesa per la cultura e il tempo libero; e si sono drasticamente limitate, con la mobilità, anche le spese per il lavoro. In tutte queste aree la spesa familiare è tornata a crescere nel 2021, ma non ha ancora raggiunto i livelli precedenti la crisi.
Accanto alla spesa, un dato significativo per interpretare le esigenze e le difficoltà delle famiglie italiane è la rinuncia alle prestazioni. Nella figura 7 consideriamo per ogni area la quota di famiglie che nel 2021 hanno rinunciato a prestazioni di welfare. L’analisi distingue due livelli: la rinuncia parziale, relativa a prestazioni rinviabili o considerate non essenziali, e quella rilevante, che comporta o potrebbe comportare conseguenze gravi per la sicurezza e il benessere della famiglia. In due aree, la salute e l’educazione prescolare, la rinuncia ha avuto un picco nel 2020, quando a causa delle restrizioni provocate dalla pandemia molte prestazioni non sono state disponibili e le stesse famiglie hanno ridotto la richiesta per diminuire i rischi di contagio. Ma, indipendentemente da quei picchi, la rinuncia cresce in tutte le aree.
Nel 2021 metà delle famiglie hanno rinunciato a prestazioni sanitarie, e per il 13,9% si è trattato di prestazioni rilevanti.
56,8% delle famiglie con anziani o altre persone bisognose di aiuto hanno rinunciato a prestazioni di assistenza, nel 22% dei casi in modo rilevante. 47,2% delle famiglie con bambini hanno rinunciato a servizi di assistenza ed educazione prescolare, e per il 18,9% sono state rinunce rilevanti. Infine il 33,8% delle famiglie con figli in età scolastica o universitaria hanno fatto rinunce (per l’11,6% rilevanti) relative all’istruzione.
L’interpretazione più diffusa nel dibattito pubblico attribuisce le rinunce esclusivamente alle difficoltà economiche delle famiglie o all’eccessivo costo delle prestazioni disponibili sul mercato. Secondo il rapporto Cerved questa valutazione coglie solo una parte della realtà. Solo nel 21,7% dei casi esse sono causate da problemi economici, e ovviamente questa motivazione incide maggiormente (38,9%) nella fascia di famiglie a basso reddito. Ma la ragione principale di non utilizzo dei servizi ha a che fare con la distanza tra la domanda e l’offerta: nel 31,9% dei casi i servizi richiesti non sono disponibili, e nel 29,5% sono giudicati di qualità insoddisfacente. Ciò significa che esiste un vuoto di offerta in relazione ai bisogni delle famiglie. Lo scopo indicato dal 92% delle famiglie è di permettere alla persona anziana e bisognosa di aiuto di restare nel suo contesto domestico, mantenendo le relazioni che determinano la sua qualità di vita. E per attuarlo esse richiedono, nel 56% dei casi, il supporto di servizi di assistenza domiciliare qualificata. È in relazione a questa esigenza che l’offerta viene giudicata assente o insoddisfacente.
Queste considerazioni, particolarmente evidenti nell’assistenza agli anziani, valgono in generale per tutte le aree di welfare.
Tanto l’esplosione della spesa familiare quanto la crescente rinuncia alle prestazioni segnalano che la domanda delle famiglie non trova adeguata risposta nell’offerta dei sistemi di prestazione sia del settore pubblico che privato. Si pone pertanto l’esigenza di un profondo rinnovamento dei sistemi di welfare per rispondere alla molteplicità dei bisogni familiari emergenti.
Centralità della salute e consapevolezza ecologica sono i valori che stanno cambiando le scelte di consumo, i modi di alimentarsi e viaggiare, gli stili di vita degli italiani. Se la spesa sanitaria delle famiglie è cresciuta fino a 39 miliardi l’anno, la causa non è solo la difficoltà di accedere ai servizi del SSN (pur se le liste d’attesa hanno un peso importante). Anche per la salute, come per l’assistenza, l’offerta degli attuali sistemi di prestazione appare incapace di rispondere ai nuovi bisogni. Si tratta soprattutto di due esigenze: la richiesta al sistema sanitario di prevenzione e guida per preservare la salute, non solo di cure nel momento della malattia; e il desiderio di una gestione personale continua della relazione sanitaria. La stessa diffusione di sottoculture irrazionali, evidenziata nella pandemia, potrebbe essere meglio contrastata riempiendo l’attuale vuoto di assistenza sanitaria personale. Si tratta di superare la frammentazione dell’offerta sanitaria specializzata e il suo modello di cura on demand, che lascia l’iniziativa al paziente. Il PNRR si propone di sviluppare reti sanitarie e soluzioni di telemedicina, con lo scopo di facilitare le cura a domicilio (ponendosi come obiettivo “la casa come primo luogo di cura”), e sistemi di gestione digitale dei dati clinici personali. Ma non tutte le esigenze potranno essere risolte dal sistema pubblico, e non è pensabile che la spesa pubblica si espanda sino a includere lo spazio oggi coperto dalla spesa privata. Nuovi soggetti si presentano in quello spazio. Tra questi le imprese impegnate, con il welfare aziendale, ad assumere una responsabilità sociale verso i lavoratori, le loro famiglie, la comunità locale.
Secondo il rapporto Welfare Index PMI il 22,6% delle imprese di media e piccola dimensione hanno raggiunto un livello elevato di iniziativa in ambito sanitario, offrendo servizi diagnostici e campagne di prevenzione, teleconsulto, sportelli medici interni, sostegni economici per la cura dei bambini e l’assistenza agli anziani, oltre che assicurazioni sanitarie integrative. Le imprese sono vicine alle famiglie e in grado di intercettarne i bisogni in modo puntuale. Aggregano la domanda di welfare, permettendo ai cittadini di accedere ai servizi in forma collettiva, migliorando quindi l’efficienza della spesa privata. In questo modo il welfare aziendale può integrare il SSN, riducendo la pressione sulla spesa pubblica e favorendo la diffusione di servizi di prossimità.
La spesa complessiva di welfare nel 2021 ha raggiunto il 44,7% del PIL. Si tratta di 785 miliardi, provenienti per l’80% dalla spesa pubblica e per il 20% dalla spesa privata. E quest’ultima è in larga misura a carico delle famiglie: 17,4% è la quota del welfare familiare, 2,7% la quota del welfare aziendale (le iniziative delle singole imprese) e collettivo (la raccolta dei fondi previdenziali e sanitari). Il welfare aziendale, sviluppato dopo la legge di stabilità 2016 che ha incentivato le iniziative sociali delle imprese a beneficio dei lavoratori, contribuisce a tutte le aree di bisogno delle famiglie. Può crescere molto, offrendo un rilevante contributo al sistema di welfare del Paese, perché ha un impatto positivo sui risultati aziendali e permette alle imprese di rafforzare la propria sostenibilità. Il rapporto Welfare Index PMI 2021, già citato precedentemente, comprende un’analisi effettuata da Cerved sui bilanci delle imprese: quelle con i più alti livelli di welfare aziendale ottengono risultati di redditività, produttività e crescita dell’occupazione sensibilmente migliori della media. Per questo motivo il welfare aziendale è in grado di apportare nuove risorse, oltre che nuovi modelli di comunità e di servizio, al rinnovamento del sistema di welfare italiano.