“Discorso elementare sulle somiglianze e sulle dissomiglianze fra liberalismo e socialismo” è il titolo di un articolo di Luigi Einaudi pubblicato l’1 gennaio del 1957.
Il grande statista tracciava in modo elementare, quanto ricco negli argomenti e nelle suggestioni, la differenza fra due antropologie umane e politiche, quella liberale e quella socialista. Il saggio aveva tuttavia una mission più alta, puntava a dimostrare che le due culture, divenute avverse in occidente a cavallo delle prime rivoluzioni industriali e democratiche, possano considerarsi complementari all’interno di un “contrasto fecondo e creatore” fra uomini liberi. I due esemplari antropologici, infatti, “ … pur avversandosi, non sono nemici; perché ambedue rispettano l’opinione altrui; e sanno che vi è un limite all’attuazione del proprio principio. Ambe le specie di uomini sanno di collaborare ad un’opera comune, esaltando al massimo a volta a volta il principio della libertà umana o quello della necessaria collaborazione degli uomini viventi in società; e sanno di essere capaci di vivere ed operare se e finché sono decisi a tollerarsi a vicenda”.
Punto per punto, con stile pragmatico, Einaudi elenca e commenta le non infrequenti e improprie torsioni dei due tipi, lo fa certo partendo dal faro della difesa del bene primo di un uomo liberale, la libertà, ma mai perdendo in equanimità di giudizio nelle argomentazioni.
Non è vero – afferma Einaudi – che la libertà debba essere soltanto “forma”, cornice di civiltà giuridica, politica ed economica, la libertà è sostanza e fine ultimo di una società libera che sappia tendere alla giustizia sociale.
Non è vero – continua – che un liberale o un socialista debbano vivere di opposte e inconciliabili ragioni, accade invece e non infrequentemente che il dialogo sia decisivo per ben governare.
È assolutamente vero – conclude – che da un confronto equilibrato delle due posizioni sia raggiungibile un equilibrio che salvaguardi la buona politica, coniugando ambiziosamente libertà e giustizia sociale.
Il grande statista, membro dell’Assemblea costituente repubblicana, esimio Presidente della Repubblica italiana negli anni ’48-’55, conclude il suo ragionamento in questa direzione: “… la lotta tra gli uomini devoti ai due ideali liberale e socialistico non è destinata ad attenuarsi, ed è lotta necessaria e feconda … L’optimum … si tocca nella lotta continua fra i due ideali, nessuno dei quali può essere sopraffatto senza danno comune. Solo nella lotta, solo in un perenne tentare e sperimentare, solo attraverso a vittorie ed insuccessi, una società, una nazione prospera. Quando la lotta ha fine si ha la morte sociale e gli uomini viventi hanno perduto la ragione medesima del vivere”.
I valori del Presidente Einaudi hanno a che fare con l’anima della Costituzione repubblicana che sempre coniuga i valori del liberalismo e quelli sociali ma sorge spontanea una domanda: Einaudi ha immaginato un’evoluzione di questo pensiero, la possibile coesistenza e sintesi di governo della dimensione liberale e di quella socialista? La domanda è interessante perché, al di là delle convinzioni liberalsocialiste di chi scrive, questo orizzonte della politica in occidente è oggi visibile, se non imprescindibile.
In un inedito contesto epocale, addirittura in Cina oggi si celebra una sintesi molto più tempestosa, quella fra formazioni economico-sociali, fra capitalismo e socialismo. Sintesi teoricamente impropria ma che in quelle condizioni di crescita e di organizzazione del potere continua a creare impetuoso sviluppo, un ordine nuovo e dominante con il quale è ineludibile saper fare i conti.
Il mondo è profondamente cambiato, ben lo attesta un ottimo libro che ho avuto l’onore di proporre a Torino, alcuni anni fa, in un convegno di successo. Si tratta del libro del prof. Franco Cassano “Senza il vento della storia – La sinistra nell’era del cambiamento”, libro che racconta i cambiamenti globali osservati da un’ottica di sinistra.
A tal riguardo ho immaginato un dialogo fra Cassano e il vecchio Einaudi: da una parte gli anni ’50 e la crescita del secondo dopo guerra; dall’altra il ponte fra due secoli, la fine dello sviluppo dei “trenta gloriosi” e del vecchio ordine internazionale, l’ingresso di nuove forze nella scena globale: un nuovo mondo, nuove linee di conflitto, inediti scenari. Ma nell’immaginare il dialogo, prende campo potente, oltre il tempo-spazio, la mia suggestione: un occidente nel quale non basta più “l’optimum” einaudiano della dialettica virtuosa fra culture politiche avverse, e una promettente alleanza contro sovranismi e populismi, una sintesi liberale e socialista, sana e doverosa, rinascita dell’albero originario delle rivoluzioni democratiche, emersione di un riformismo maturo, razionalità di una nuova idea di giustizia sociale, cultura dell’energia e dell’ambiente per salvare il pianeta.
L’imprevedibilità della Storia, idee e parole che chiedono di uscire dal silenzio e prendere voce, e se un partito comunista può guidare la più grande realtà capitalistica del mondo, una comune storia dell’occidente di lotta al privilegio e alla rendita può riprendere un suo coerente cammino.