Se neanche il governo di unità nazionale guidato da Mario Draghi è riuscito a far cambiare registro alla legge di Bilancio vuol dire che siamo proprio messi male. Nel metodo e nei contenuti anche quest’anno si è ripetuto un rituale offensivo verso il Parlamento e privo della visione di politica economica generale di cui l’Italia ha drammatico bisogno. È ora di cambiare.
La legge di Bilancio è il provvedimento più importante che ogni anno il Governo presenta al Parlamento. In essa la maggioranza dovrebbe indicare gli interventi strutturali per correggere i difetti di funzionamento dell’economia, per rilanciare lo sviluppo, l’occupazione e distribuire meglio la ricchezza prodotta.
Invece si risolve in una serie di provvedimenti slegati tra loro, che obbediscono a logiche settoriali, e diciamolo pure, clientelari e corporative: invece di rimuovere gli ostacoli ad un sano sviluppo, i difetti del sistema economico-fiscale non vengono corretti ma a volte addirittura peggiorati.
32 miliardi che potevano essere spesi meglio
La legge di Bilancio per il 2022 è sicuramente migliore di quella dell’anno scorso perché beneficia del clima ottimistico generato dal Next Generation Eu e delle risorse ingenti che l’Europa ha deciso di darci, se rispetteremo una serie di stringenti impegni. Ma proprio per questo non doveva tradursi, come invece è avvenuto, in un’allegra e raffazzonata spartizione di una torta di 32 miliardi, solo pochi dei quali impegnati per interventi strutturali. Una delusione la cui responsabilità ricade su tutti i partiti che sostengono il Governo.
Eppure questa sarebbe stata l’occasione buona, forse irripetibile, per fare pochi drastici interventi e dare competitività ed efficienza al sistema Paese, intervenendo sul settore pubblico e privato con politiche espansive ma di lunga durata e non effimere come quelle dei numerosissimi bonus elargiti senza una visione organica.
Inutili e costosi interventi a pioggia
Il rimbalzo boom del Pil registrato quest’anno, 6,2% ha messo in moto un volano che rischia di rallentare nel 2022 e di tornare alle stitiche crescite dello zero virgola che da 20 anni hanno fatto perdere ricchezza all’Italia.
Quanti si sono affannati a dare l’assalto alla diligenza hanno dimenticato che interventi a pioggia possono soddisfare interessi particolari ma non attivano il circuito virtuoso di cui abbiamo bisogno, cioè porre le condizioni per una crescita annuale e che non scenda sotto il 3%. Senza questa crescita il peso del debito pubblico accumulati non sarà sostenibile nel tempo e l’euforia dei bonus lascerà, dopo il 2026 il campo alle manovre lagrime e sangue che nessuno davvero si augura ma che rischiano di diventare ineluttabili se il denominatore del rapporto debito/Pil non riprende ad aumentare.
L’umiliazione del Parlamento
Ma questa legge di bilancio ha sancito ancora una volta l’umiliazione di Senato e Camera. Hanno ricevuto il testo con oltre 20 giorni di ritardo. L’assemblea di Palazzo Madama ha avuto pochi giorni per esaminarlo, l’aula di Montecitorio si è dovuta limitare ad una presa d’atto.
È inaccettabile. Da queste colonne abbiamo più volte proposto una revisione profonda del meccanismo di formazione della legge di Bilancio che inizia in aprile con il Documento di economia e finanza (Def) continua a settembre con l’aggiornamento di questo documento (NaDef) e si perfeziona con la presentazione al Parlamento che dovrebbe avvenire a metà ottobre per consentire il voto finale entro il 31 dicembre.
Riformare il processo di formazione della Legge di Bilancio
I primi due passaggi sono assolutamente inutili così come sono articolati in Italia. Su quei documenti non c’è mai un vero confronto approfondito. Meglio sarebbe, invece se il governo presentasse ai primi di giugno il progetto dettagliato del Bilancio e aprisse un confronto parlamentare da concludere a fine ottobre. A quel punto, fatti salvi i necessari aggiornamenti, il Governo dovrebbe redigere il testo finale e giocarsi il tutto per tutto sulla Legge di Bilancio: presentarla al Parlamento senza possibilità di emendamenti o limitando a pochi punti le correzioni. E chiedere non una fiducia tecnica, per far decadere gli emendamenti, ma una vera e propria fiducia politica.
Sarebbe più serio e rispetto delle prerogative del Parlamento ed eviterebbe di disperdere risorse in mille rivoli.