Correva il periodo a cavallo della prima guerra mondiale quando nel nord della Svizzera prendeva il via quello che è stato uno dei movimenti artistici che ha caratterizzato la svolta della concezione classica dell’arte: il dadaismo, con il suo rigore antibellico e il suo volersi smarcare dai canoni estetici e dai paradigmi classici, attraverso quelle due sillabe piene di significato e di informazione, DaDa, ma impregnate di un senza senso comunicazionale, riflesso di una cavalcata del tempo che rincorreva ciò che la cultura stava già trasformando.
Il movimento nasceva dopo la conta di milioni di morti e di scontri, come un bilancio di quanto era emerso in tempi diversi in tutto il mondo, che si trovava nello stesso punto e nello stesso momento a tirare le somme. Quella super densificazione di quanto l’uomo aveva fatto e pensato sino a quel momento, le sue culture e le sue idee che si sono espresse nei grandi schieramenti dei conflitti del XX secolo, tutto ciò era stato condensato nel DaDa, che, rifiutando ragione e logica, ha promosso il caos e l’eccedenza. Infatti, secondo gli stessi dadaisti, il dadaismo era anti-arte e si poneva l’obiettivo di stravolgere tutto ciò che era avvenuto in precedenza. Per la prima volta, era la stessa cultura dominante a generare il virus che ne avrebbe cambiato i canoni di riferimento.
Anche oggi si può parlare di virus, vista la pandemia che ha colpito il pianeta, ma la chiave di interpretazione è quella del glitch, cioè un difetto, una distorsione nella regolarità di un sistema elettronico. Questa stortura ha obbligato alla riflessione e all’analisi di quanto fatto fino ad ora in termini di sistemi economici, prevenzione sociale e sostenibilità.
In questo senso, il BlaBla di Greta può essere visto come l’eredità del DaDa, due sillabe di rottura rispetto ai canoni precedenti. Dada, la risposta anti bellica contro tutta la cultura ottocentesca. Blabla, la risposta tonante contro l’immobilismo dei governi e l’urgenza del clima.
Greta Thunberg, infatti, rivolgendosi ai negoziatori e ai politici, ha annullato di fatto il significato delle parole, ha creato una rottura tra le istituzioni negoziali di ieri e quelle di oggi. Impersonificando le istanze di molti, Greta ha annientante le dichiarazioni dei potenti della terra che tanto devono ancora fare per offrire soluzioni chiare e strutturate per attivare in maniera significativa ciò che chiamiamo comunemente “transizione ecologica” e rallentare il cambiamento climatico, mitigandone gli effetti.
La diplomazia classica si è sempre basata sulle parole, molto spesso complicate ed enigmatiche, per risolvere le grandi questioni tra gli stati. La fine delle guerre in Europa e nell’estremo oriente è una significativa vittoria della diplomazia e delle Nazioni Unite, nate prima di tutto come tavola di mantenimento della pace.
La questione del cambiamento climatico, però, non segue i paradigmi noti e diviene la prima grande questione diplomatica che smonta la diplomazia stessa. La mediazione era alla base delle contrattazioni, ma il BlaBla rompe i termini del negoziato ed esige nuovi schemi, parole, regole. In particolare, si chiede un vero cambio di passo circa l’utilizzo delle risorse e un ripensamento dello stile di vita.
Come può, quindi, la diplomazia usare vecchie parole per una sfida nuova?
Cambiano i negoziati, ma dovrebbe cambiare anche la comunicazione, per fornire maggiore chiarezza sui dati riguardanti il cambiamento climatico e per non disperdere tutto il capitale di ricerca scientifica sviluppata negli anni.
Durante la Pre COP e la COP 26 sono state fatte molte dichiarazioni e il BlaBla di Greta è servito anche come monito affinché alle parole corrispondano delle azioni concrete, che la diplomazia svolga il suo ruolo come azione di pace, perché come tale la transizione ecologica dovrebbe essere agita, come un passaggio da un periodo di guerra tra l’uomo e il suo pianeta a un momento di pace, sinergia e di reciproco nutrimento.
*Roberto M. Razeto, Climate Change Communication Adviser