lunedì, 16 Dicembre, 2024
Politica

Quirinale. La partita dei no. Il rischio dell’instabilità

Per ora prevalgono veti e strategie politiche divergenti

L’elezione del capo dello Stato dovrebbe rappresentare il momento di maggiore unità dei partiti e l’occasione per dare stabilità al sistema politico istituzionale. E invece quella del prossimo Febbraio si sta delineando come un’occasione di scontro, di pregiudiziali, con il corollario di un disfacimento dell’attuale maggioranza e l’avvio di una fase di incertezza. Alla successione a Mattarella si mescolano i desideri di chi vuole le elezioni anticipate e di chi vorrebbe mantenere l’attuale equilibrio delle larghe intese, con o senza Draghi. Il paradosso di questo scenario sarebbe rappresentato proprio dal ruolo di Draghi: oggi a Palazzo Chigi salvatore della patria e capace di tenere insieme una maggioranza vastissima, domani al Quirinale obbligato a sciogliere le Camere appena arrivato, e impegnato a gestire una conflittualità politica lontana mille miglia dall’attuale calma.

I punti fermi sono pochi. Mattarella non ambisce ad un secondo mandato. Prodi si è chiamato fuori. L’unico che si è candidato ufficialmente è Silvio Berlusconi. Ma su di lui c’è, di fatto, il veto del Pd e del M5s. Quindi la sua sarebbe un’elezione non a larga maggioranza. Il che irrita molto Forza Italia. Tajani è stato chiaro: se al posto di Berlusconi si vuole eleggere Draghi si sappia che l’attuale maggioranza andrà in frantumi e si andrà alle urne.

Qualcuno potrebbe obiettare che toccherebbe a Draghi decidere di sciogliere le Camere appena eletto, il che non sarebbe proprio una passeggiata. Ma il gioco potrebbe scappare di mano. Alcuni immaginano che a Palazzo Chigi potrebbe succedere un uomo di fiducia di Draghi con la stessa coalizione. Questo presupporrebbe la volontà di tutti e sei i partiti voler restare insieme.

Forza Italia ha già detto che non sarà disponibile, difficilmente la Lega potrebbe restare al governo se oltre a Fratelli d’Italia anche Forza Italia andasse all’opposizione. A quel punto non rimarrebbe altra scelta che nominare un governo elettorale e andare a votare a giugno. Uno scenario non certo tranquillizzante in piena quarta ondata e con tante incognite sia sull’attuazione del Pnrr che sull’andamento complessivo dell’economia, gravata dall’aumento dei prezzi, energia innanzitutto, e dalla risalita degli spread.

Il paradosso di questo scenario sarebbe rappresentato proprio dal ruolo di Draghi: oggi a Palazzo Chigi salvatore della patria e capace di tenere insieme una maggioranza vastissima, domani al Quirinale obbligato a sciogliere le Camere appena arrivato, e impegnato a gestire una conflittualità politica lontana mille miglia dall’attuale calma. Il tutto ovviamente presupporrebbe che l’elezione di Draghi avvenisse comunque con una maggioranza di almeno l’80% dei grandi elettori. Ma nessuno può scommettere un euro sul voto segreto, soprattutto se un partito importante come Forza Italia dovesse tirarsi indietro.

Che fare? Ci sono due mesi di tempo per pensarci con attenzione. L’obiettivo della politica dovrebbe essere quello di mettere da parte giochi e giochetti e di puntare a stabilizzare il sistema eleggendo al Quirinale una personalità non divisiva e mantenendo a Palazzo Chigi l’attuale configurazione. Non sarà facile.

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