È giusto o sbagliato istituire una Commissione parlamentare di inchiesta “sulla diffusione seriale e massiva di contenuti illeciti e di informazioni false attraverso la rete internet, le reti sociali telematiche e le altre piattaforme digitali”?
Il disegno di legge, di cui è prima firmataria l’ex ministra Maria Elena Boschi – oggi tra le colonne di “Italia Viva”, la formazione politica fondata da Matteo Renzi – fa discutere gli addetti ai lavori e gli osservatori esterni.
Delle conseguenze di un simile intervento legislativo abbiamo parlato con il professore Ruben Razzante, docente di Diritto dell’informazione e della comunicazione all’Università Cattolica di Milano e alla Lumsa di Roma, il quale proprio lunedì 14 ottobre presenterà a Milano il portale www.dirittodellinformazione.it
Nel comitato scientifico ci sono eminenti personalità del mondo delle istituzioni, della comunicazione e del giornalisti, tra cui l’ex presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, Giovanni Pitruzzella, diversi professori della Cattolica, Bononcini, D’Asaro Biondo, i presidenti degli Ordini professionali, alcuni direttori di giornali tra cui Sandro Neri de Il Giorno, Silvia Grilli, di “Grazia” e altri.
Ecco come l’esperto, che ha tenuto una lezione al Corso di Fiuggi per gli aspiranti giornalisti professionisti della prossima sessione, ha risposto alle nostre domande.
Professore, che idea si è fatto di questa proposta di legge?
“C’è un forte rischio di banalizzazione e di strumentalizzazione del tema. Credo che spendere soldi pubblici per una cosa del genere non sia la soluzione giusta”.
Quale è, suo modo di vedere, la soluzione giusta?
“Le fake news si combattono con l’autoregolamentazione degli operatori e la responsabilizzazione delle piattaforme. Ma c’è di più”.
Cioè?
“La Ue ha varato un codice di autodisciplina nel settembre 2018 grazie al quale è stato dimostrato che alle ultime elezioni europee non ci sono state manipolazioni consistenti. Questo conferma la mia impressione”.
Vale a dire?
“Tra i compiti della Commissione, esplicitati all’articolo 2 del ddl, vi è quello di accertare eventuali violazioni, manipolazioni o alterazioni di dati personali ovvero di circostanze fattuali riferibili a cittadini italiani, funzionali a condizionare illecitamente o illegittimamente l’esito delle consultazioni elettorali o referendarie svoltesi nei cinque anni precedenti alla data di entrata in vigore della presente legge o, comunque, a manipolare indebitamente il consenso elettorale. Questo significa che l’esame dovrà riguardare anche l’ultima consultazione referendaria del 2016. Tale previsione induce a pensare che Renzi si sia voluto togliere un sassolino per la sua sconfitta. Ma si sbaglia di grosso”.
Perché?
“Dovrebbe prendere atto che non ha perso a causa delle fake news, ma per l’eccessiva personalizzazione del voto che ha trasformato il referendum sulla riforma di una parte rilevante della Costituzione in un plebiscito a favore o contro di lui. La gente, in questo modo, non si è soffermata sui contenuti delle proposte. Ma c’è di più. Ha annunciato che, in caso di esito negativo, si sarebbe ritirato dalla politica. Mi pare evidente che tutto ciò non sia avvenuto…”.