Anche l’ex Presidente americano Barack Obama a Glasgow dove i grandi della terra continuano a parlare di clima. Questa seconda settimana si apre con l’analisi di come e quanto i cambiamenti climatici abbiano già impattato sull’uomo, quali siano state le perdite e i danni e come i Paesi stiano affrontando la crisi.
“Gli Usa sono tornati e si muovono in modo più audace”. Si mostra soddisfatto Barack Obama alla Cop26 per il cammino ripreso dal Governo americano dopo i rallentamenti dovuti alla politica di Donald Trump e, rivolgendosi ai giovani attivisti per il clima, li ha invitati a non desistere, semmai a dosare le forze e individuare meglio gli obiettivi da centrare. “Per persuadere le persone che al momento non sono d’accordo o sono indifferenti non si più solo urlare o twittare contro o creare problemi con il blocco del traffico – ha spiegato l’ex presidente Usa – dobbiamo ascoltare le obiezioni e le riluttanze della gente comune, comprendere la loro realtà e lavorare insieme”. Poi li ha esortati a partecipare al voto, “perché i Governi – ha detto Obama – non agiranno senza la pressione degli elettori”.
Delusione espressa, invece, per Cina e Russia: “È stato particolarmente scoraggiante vedere i leader di due dei Paesi più inquinanti al mondo rifiutare di presentarsi” al summit di Glasgow, probabile sintomo di “mancanza di urgenza, come un desiderio di mantenere status quo”. Per Obama, una vera vergogna. Stesse preoccupazioni sono state espresse in una risoluzione votata a larga maggioranza dal Parlamento europeo, che vorrebbe l’allargamento degli obiettivi climatici cinesi a tutte le emissioni di gas a effetto serra e non solo a quelle di anidride carbonica.
Nei prossimi 10 anni metà della popolazione mondiale a rischio
Intanto, alla Cop26 è stata presentata una ricerca di McKinsey & Company secondo la quale, se si superano 1,5 gradi di riscaldamento rispetto ai livelli pre-industriali, nel prossimo decennio quasi metà della popolazione mondiale sarà esposta al rischio di ondate di calore, siccità, inondazioni o carenza d’acqua, contro il 43% a rischio oggi. Secondo il rapporto, in questo scenario le zone sottoposte ad ondate di calore potrebbero registrare temperature che renderebbero impossibile lavorare all’esterno nel 25% delle ore lavorative di un anno. In uno scenario peggiore, di 2 gradi sopra i livelli pre-industriali al 2050, 800 milioni di persone in più rispetto ad ora vivrebbero in aree urbane con gravi problemi idrici, a causa dell’aumento della domanda d’acqua. Circa 100 milioni di persone (1 su 7 degli agricoltori del mondo nel 2050) sarebbero esposte a gravi livelli di siccità, riducendo la loro capacità di produrre cibo. Quattrocento milioni di persone che vivono sulle coste di mari e fiumi rischierebbero inondazioni costiere, con morti e ingenti danni materiali.
Presenti a Glasgow più di 100 lobbisti del petrolio
Allarme lanciato dalla Bbc, che cita l’analisi della ong Global Witness, in cui si fa notare che a Glasgow ci sono più delegati associati all’industria dei combustibili fossili di quelli che rappresentano i singoli Paesi partecipanti, i cui sforzi comuni dovrebbero in teoria tendere proprio a ridurre i consumi globali di carbone, petrolio e gas. “L’industria dei combustibili fossili ha passato decenni a negare e ritardare un’azione reale sulla crisi climatica, motivo per cui questo è un problema così enorme – ha detto Murray Worthy di Global Witness -. La loro influenza è uno dei motivi principali per cui 25 anni di colloqui sul clima delle Nazioni Unite non hanno portato a tagli reali delle emissioni globali”.