E arriviamo al termine di questo viaggio nel bello tornando all’interrogativo: la bellezza salverà il mondo?
Ippolit, nell’ “Idiota“, domanda al principe Myskin: “In che modo la bellezza salverebbe il mondo?”
Il Principe non risponde ma va da un giovane che sta agonizzando, lì rimane pieno di compassione finché non muore.
Kalòs kai agathòs (bello e buono), l’amore condiviso con il dolore (bello e buono). Una curiosità: l’aggettivo “bello” non deriva dal latino classico “bellum” (che sarebbe altrimenti la guerra bellum/guerra) ma da un tardo latino che si sta avvicinando al volgare “bonicellum” (bello e buono).
Torniamo a Dostoevskij.
Ne “I fratelli Karamazov” osserva che un viso è bello quando percepisci che “in esso Dio sta vincendo sul diavolo”. E, quando il bene vince definitivamente, il viso allora diventa luminoso.
Non a caso Dostoevskij contemplava costantemente la Madonna di Raffaello, la Madonna Sistina conservata a Dresda. I suoi amici e conoscenti ricordano che, quando si trovava in città, era una visita pressoché quotidiana.
La lotta tra il bene e il male è una costante della letteratura…
È un’immagine potente che gli scrittori definiscono anche per la propria vita.
Victor Hugo, il grande autore dei “Miserabili”, riportato recentemente da Macron ad esempio delle virtù della Francia, usò per sé la stessa immagine sul letto di morte:
“C’est ici le combat du jour et de la nuit”.
La bellezza sul volto anche nella vecchiaia. Hanno scritto:
“A un certo punto della vita ognuno è responsabile delle rughe che ha“.
È un’immagine che vale ancor più oggi nella civiltà della bellezza eterna dove la chirurgia interviene a cambiare i connotati con il botox, ma un volto rugoso non perde bellezza se irradia l’essere (pensiamo al volto di Teresa di Calcutta).
Siamo giunti, nel cerchio della vita, a toccare il senso dell’esistere che abbiamo visto illustrato in alcuni passaggi da artisti, scrittori, musicisti.
Un senso che, nel crepuscolo della vita, interroga spesso la profondità del nostro sentire, suscita bilanci, sollecita malinconie e rimpianti, impone riflessioni più profonde.
E allora la bellezza di questa luce non si spegne neanche negli anni della vecchiaia e consegna un lascito di emozioni e di sentimenti.
Un medico, prima di morire, lascia in un cassetto una lettera per la moglie, una lettera piena di speranza e di luce:
“Se la solitudine ti opprimerà, in qualche notte d’inverno, ricordati: anche se la morte mi ha raggiunto il mio amore per te non finirà mai; proprio come la felicità in tanti momenti ha illuminato i nostri cuori, lascia che questa luce ti raggiunga in quegli istanti. Prima che l’alba allontani i tuoi sogni”.
La luce che non abbandona, neanche quando l’ora comincia a farsi più tarda…
Concludendo questa carrellata abbiamo visto come arte, musica, poesia e letteratura procedono insieme e ci conducono al mistero della vita, ci introducono nella bellezza e la bellezza riflette la virtù (kalòs kai agathòs…). La luce ispira i poeti, i grandi architetti e gli scultori, guida la mano dei pittori, accende l’ispirazione dei compositori.
Il sommo poeta che abbiamo studiato a scuola, il grande fiorentino che abbiamo ricordato in quest’anno con celebrazioni un po’ ovunque, entrato nella selva oscura e senza stelle comincia a sperare con il sorgere del sole. Percorso l’inferno può riveder le stelle…. scalato il monte dell’espiazione è “puro e disposto a salir le stelle”.
Alla fine del poema seguirà, a breve distanza, la morte di Dante Alighieri (notte tra il 13 e il 14 settembre 1321).
L’uomo non ha altra via per salire in bellezza e virtù che cercare una propria luce, farsi guidare dalla propria stella, coltivare una visione delle nostre responsabilità, di un’umanità condivisa.
La bellezza che salva il mondo è, per ultimo, la consapevolezza del domani e delle responsabilità di ognuno, cogliendo le occasioni e le opportunità di ogni tempo. Ecco perché la distruzione dei monumenti diventa ancora più odiosa: toglie la speranza, getta nel buio più profondo pensando di rinchiudere tutti nell’oscurità, troncando aneliti di libertà presenti in ogni popolo. Genti che anche noi non possiamo abbandonare o occuparcene solamente di fronte a catastrofi immani.
Una responsabilità che ci sfida, soprattutto in tempi difficili e confusi, come per certi versi possiamo giudicare quelli attuali. Una responsabilità a cui non ci possiamo sottrarre, per sviluppare in modo armonico il successo individuale e collettivo perché, ci ricorda il Manzoni:
“La vita non è una festa per alcuni e un peso per molti, ma per tutti un impiego”. (3-fine i precedenti articoli sono stati pubblicati il 28 e il 30 ottobre)