Nel 2011 Maria Pia Ercolini, insegnante di geografia, mentre passeggia per le strade di Roma, si accorge che le vie intitolate alle donne sono pochissime.
Il vuoto di genere di piazze e strade la spinge a mobilitare colleghe amiche e studenti. Nel 2012 Toponomastica Femminile diventa un gruppo Facebook e nel 2014 si trasforma in associazione con l’intento di restituire voce e visibilità alle donne che hanno contribuito, in tutti i campi, a migliorare la società.
In Italia, risulta che per ogni 100 strade intitolate a uomini, solo 7,5 sono state dedicate a donne. Ma il dato più sconcertante è che il 60 per cento dei luoghi pubblici intitolati a donne portano nomi di benefattrici, martiri, suore, religiose, sante e madonne mentre sono dimenticate scienziate, imprenditrici, artiste o sportive, poetesse, partigiane e vittime illustri.
Sono tante le anomalie divertenti della nostra toponomastica femminile: se i nomi di molte vie dei centri storici erano legati a botteghe o professioni maschili, per le professioni femminili, i topos più diffusi, sono Via delle donne e Via delle belle donne con cui si indicavano gli antichi bordelli. Le Vie Carampane sono una ventina e vanno da Venezia a Napoli. A Firenze il Comune ha deciso di cambiare il nome di Piazza della Passera, mentre ci sono targhe divertenti come Via delle Streghe a Perugia o insegne curiose come Via delle Zoccolette a Roma, il cui nome deriva da un conservatorio adiacente a Via Giulia, frequentato da bambine che indossavano sempre zoccoli. È evidente che per la millenaria tradizione culturale, le donne possono essere solo o madonne o puttane.
Oggi sul sito dell’associazione è agevole consultare un “censimento stradale italiano”. Il progetto si estende anche alle “piazze” europee di Parigi, Barcellona e Lisbona ed ha trovato il sostegno anche di Vanity Fair con il progetto #lastradagiusta e anche quello di noi giuristi dell’Associazione Iusgustando.
Nel 2020 abbiamo avviato la trafila per dedicare una strada di Siderno alla dimenticata partigiana Carmelina Montanari. Trasferitasi a Bologna, Camelina, il cui nome di battaglia era Adriana, diventa partigiana per amore, grazie al marito Bruno. Durante la Resistenza, fa la staffetta, cura i partigiani feriti con l’aiuto di un medico e della moglie farmacista, porta armi e viveri. Arrestata insieme al marito il 27 febbraio 1945, la notte prima che lui venisse deportato a Mauthausen, chiesero di passarla insieme e concepirono la loro prima figlia. Il giorno dopo inaspettatamente Bruno fu trasferito a Fossoli e durante il viaggio riuscì a scappare e veder nascere la figlia, con nel palmo della mano sinistra un piccolo angioma di colore rosso, simbolo del loro amore e della bandiera rossa dei partigiani.