C’è molta attesa a fare da scenografia a COP26, la conferenza cui prenderanno parte i 197 Paesi che hanno firmato la convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e la cui ventiseiesima edizione si svolgerà a Glasgow per dodici giorni a partire da domani.
Ne abbiamo parlato recentemente, qui dalle colonne de La Discussione, sottolineando come in realtà siano cominciati i distinguo che, al di là del gioco della parti, in un summit il cui obiettivo è quello che di assumere posizioni vincolanti da parte degli stati membri per combattere il cambiamento climatico, rappresentano un invito a leggere tra le righe di quello che sta accadendo.
Per esempio, un recente rapporto realizzato dallo Stockholm Environment Institute, dall’International Institute for Sustainable Development, dall’ODI, dall’E3G e dall’ UNEP, il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, ha messo in evidenza una preoccupante incongruenza tra gli annunci pubblici e i reali piani di azione delle varie nazioni in materia di contrasto ai cambiamenti climatici.
Lo studio
Infatti, nonostante le crescenti ambizioni, i governi prevedono ancora di produrre più del doppio della quantità di combustibili fossili nel 2030 rispetto a ciò che sarebbe coerente con la limitazione del riscaldamento globale a 1,5 °C.
In particolare, il rapporto fornisce profili per 15 tra i principali paesi: Australia, Brasile, Canada, Cina, Germania, India, Indonesia, Messico, Norvegia, Russia, Arabia Saudita, Sud Africa, Emirati Arabi Uniti, Regno Unito e Stati Uniti. L’analisi mostra che la maggior parte di questi governi continua a fornire un significativo sostegno politico per la produzione di combustibili fossili.
In numeri, i piani e le proiezioni di produzione dei governi porterebbero a circa il 240% in più di carbone, il 57% in più di petrolio e il 71% in più di gas nel 2030 rispetto a quanto sarebbe coerente con la limitazione del riscaldamento globale a 1,5 °C.
Divergenza tra piani e azioni
Insomma, spiega uno degli autori dello studio, Ploy Achakulwisut, “La ricerca è chiara: la produzione globale di carbone, petrolio e gas deve iniziare a diminuire immediatamente e drasticamente per essere coerente con la limitazione del riscaldamento a lungo termine a 1,5 °C. Tuttavia, i governi continuano a pianificare e sostenere livelli di produzione di combustibili fossili che sono di gran lunga superiori a quelli che possiamo tranquillamente bruciare”.
Ovvero, per usare le parole di Måns Nilsson, direttore esecutivo dello Stockholm Environment Institute, “Mentre i paesi si impegnano sempre più a zero emissioni nette entro la metà del secolo, devono anche riconoscere la rapida riduzione della produzione di combustibili fossili che i loro obiettivi climatici richiederanno”.
Seguendo il vecchio adagio popolare, non si può pretendere di avere la botte piena e la moglie ubriaca per cui, prima o poi, la politica e quindi il mondo dei decisori pubblici, dovrà scendere a patti con la realtà.