Apparso per la prima volta nel 1962, “Diabolik”, il celebre ladro gentiluomo, torna sul grande schermo. Chi meglio dei Manetti Bros. poteva far rivivere il protagonista del fumetto creato da Angela e Luciana Giussani?
Durante l'”Incontro ravvicinato” in occasione della Festa del Cinema di Roma, Marco e Antonio Manetti hanno presentato in anteprima i primi cinque minuti del loro “Diabolik”, che vede nel cast Luca Marinelli, Miriam Leone e Valerio Mastandrea.
Diabolik: il coronamento di un sogno
È trascorso circa un anno dall’annunciato arrivo nelle sale del “Diabolik” dei Manetti Bros.; poi la pandemia, la chiusura delle sale cinematografiche e il contingentamento dei mesi successivi. Ma ora la capienza è nuovamente al cento per cento: possono finalmente mostrare a una sala gremita il loro lavoro. Frenesia ed entusiasmo per i due registi, tanto da lasciare il palco e accomodarsi sulle poltrone rosse di Sala Petrassi, per godere della visione insieme agli spettatori.
Un inseguimento girato tra Milano, Bologna e Trieste, l’anteprima mostrata alla platea di venerdì. Poi lunghi applausi, Marco e Antonio entusiasti, una ripresa con lo smartphone per portare con sé , dopo il pomeriggio trascorso con gli spettatori, l’emozione del ritorno sul grande schermo.
Non gli sfugge nulla e si fanno promettere che nulla uscirà da quella sala. Si tratta di un “regalo”, per tutti nei cinema dal 16 dicembre, finalmente. «Questo film – hanno detto – è il coronamento di un sogno: mettere in scena qualcosa che amiamo. È pronto da quasi due anni e siamo felicissimi di vederlo qui, oggi».
La libertà al primo posto
I due fratelli, registi, sceneggiatori e produttori cinematografici, sono tra i pochissimi autori italiani in grado di realizzare un cinema “proletario”, sia nei mezzi sia nei temi trattati.
Tanti film alle spalle e poi la fama con “Ammore e malavita”, premiato ai David di Donatello. Nel corso dell’incontro con il pubblico ripercorrono le tappe della loro carriera, le vicende e le scelte che li hanno portati a essere ciò che sono oggi.
«Potrei darvi una risposta “poetica”, – ha dichiarato Marco Manetti – la verità è che io mi sono sempre sentito regista. E farlo insieme a un fratello, è l’unico modo per poterlo fare con qualcuno. Quello del regista è un lavoro singolo, ma con un fratello non c’è competizione, e questo è fondamentale».
Ricordano i lavori e le personalità che li hanno aiutati a definire il tipo di registi che volevano essere, da “Piano 17”, «primo film in cui ci siamo sentiti veramente liberi», a “Song ‘e Naplue”, ai produttori cinematografici Luciano Martino e Paolo Del Brocco, con cui hanno condiviso la visione, il rischio e “l’incoscienza” di certe scelte rivelatesi poi vincenti.
Riconoscono in alcune rinunce fatte l’elemento che gli ha consentito di costruire il loro modo di lavorare, senza vincoli, spesso azzardato e che mette la libertà degli attori al primo posto, tanto da riconoscere che “il budget non è tutto”. Mai più importante della libertà conquistata.