Sulla nostra economia, ancora sacrificata alla demagogia del reddito di cittadinanza e quota 100, sta per piombare, se non ci riuscirà a convincere il presidente Trump, la mazzata di un’ impennata dei dazi di importazione degli Stati Uniti della quale prima vittima rischierà di essere il comparto agroalimentare, che ha uno dei suoi più promettenti mercati in America.
Saremo così vittima di una triplice interdizione: quella di essere penalizzati dalle sanzioni alla esportazione verso la Russia, quella di un emarginazione di uno spazio mercantile fiorente come quello degli USA e quella, che ormai non si può più sottovalutare, di una contraffazione dei nostri prodotti; una vera e propria industria del falso che spaccia per italiana l’intera gamma delle nostre produzioni di eccellenza.
Un’industria del falso che già oggi inonda gli scaffali dei supermercati non italiani e che punta ad espandersi proprio nel vuoto che si aprirebbe per scelte politiche (dazi e sanzioni) e che costringerebbero i nostri produttori ad affrontare costi non sostenibili. Purtroppo ne la Coldiretti, che denuncia da anni la varietà e il peso economico dei falsi, ne le altre organizzazioni agricole sono in grado da sole, di bloccare questo stato di cose. Di ciò dovrebbe occuparsene la politica nazionale e la Commissione europea con incisività ed operatività.
Gli europei debbono capire che solo ponendosi, nel confronto col potente alleato, in termini autorevoli e allo stesso tempo ragionevoli possono salvaguardare il presente e il futuro degli operatori agricoli e delle connesse industrie di trasformazione.
Allo stesso tempo dobbiamo esigere dall’Europa severità e rigore per bloccare la strategia dei falsificatori dei nostri prodotti: anche questo, nel tempo della riscossa ecologica, sarebbe un modo per garantire ai consumatori le loro finalità e la qualità dei nostri prodotti, come ad esempio il parmigiano, che restano insuperabili.