Il mondo civile, libero e democratico si è unito agli americani che hanno pianto i loro morti nell’anniversario che coincide con l’umiliazione della ritirata dall’Afghanistan, che si poteva e doveva gestire meglio. Ma mai come in questo momento è necessario che popoli e Stati tradizionalmente amici dell’America si stringano ancora intorno a questo Paese e al loro Presidente. E non per retorica ma per un’esigenza concreta.
Biden deve ricostruire l’unità del suo popolo. Questo senso di appartenenza non può scattare negli Usa solo di fronte all’aggressione del nemico esterno.
In questi 20 anni il Paese leader della democrazia moderna ha visto diffondersi al suo interno l’infezione peggiore: quella della divisione.
Divisioni sociali, economiche e perfino etniche si sono approfondite negli ultimi 4 anni. Ad esse si è aggiunta anche la spaccatura politica che ha trasformato l’avversario in nemico, usando categorie care ai dittatori non ai difensori della libertà e della democrazia. Il culmine è stato raggiunto il giorno dell’insediamento di Biden con l’assalto al Congresso e il comportamento indecente e offensivo per la storia americana del presidente uscente Trump.
Biden deve curare queste ferite, senza approfondirle, deve ricucire il tessuto della società americana. Deve riprendere in patria quel “nation building” che ha detto non essere più la missione americana in altri Paesi.
E’ un compito gravoso, indispensabile: se l’America diventa un Paese diviso la democrazia è in pericolo e non solo dall’altra parte dell’Atlantico. Per questo i Paesi amici degli Usa non devono commettere l’errore di isolare gli Stati Uniti e di prendere le distanze da Washington. Dare una mano a Biden per rafforzare la democrazia in America è interesse di tutti.