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Il governo dei Talebani. Il regime di Kabul nega i diritti alle donne

sabato, 11 Settembre 2021
1 minuto di lettura

Le donne devono stare a casa e fare figli”. Cos’ha questa frase in comune  con l’11 settembre? 

Apparentemente nulla. Essa è stata pronunciata dal portavoce dei Talebani  dopo aver negato alle persone -sono tali, ma gli è sfuggito- di sesso femminile l’ingresso nel nascituro governo dello Stato islamico, abusivamente insediatosi a Kabul.

L’11 settembre 2001 una ideologia molto simile a questa seminava morte e distruzione in America.

 

Negazione del diritto alla vita, così come quella inflitta agli stessi “conterranei” oggi, e non solo ai nemici occidentali e americani (ieri e oggi).
In comune c’è il terrore ( di cui si nutre il “terrorismo”, diretto o indiretto) col quale armeggia certa cultura ( ci auguriamo sempre minoritaria) islamica o islamista.
Il richiamo all’Islam e alla Shari’a,  sempre strumentale a giustificare- in questi casi, sia chiaro – soprusi e deviazioni dalle regole di una democrazia o di uno Stato libertario.
Libertario, si, non “liberale” , come taluni, illudendosi e confondendo il lessico, sperano ancora che possa diventare l’Afghanistan oggi.
Intanto perché  mancano gli elementi giuridici costitutivi di uno Stato e di un ordinamento democratici.
A quanto risulta, i Talebani stanno reprimendo dissenso e libertà di stampa, nonché diritto alla vita, alla salute, al sostentamento.
Senza negoziati, infatti, e senza queste connotazioni asseverate dai fatti, non parleremmo di “regime”, e quindi sarebbe tutto assai più semplice.
Uno Stato si riconosce, “dalle nostre parti”, se non è belligerante e totalitario, volendo sintetizzare per non annoiare il lettore.
Attualmente,  come ha ripetuto il nostro Ministro degli Esteri, non vi sono le condizioni perché non solo l’Italia,  ma nessun paese europeo mi auguro del pianeta possa avere relazioni “ordinarie” con l’Afghanistan.
Gli Stati che ce le hanno, come il Qatar e qualche altro stato arabo, potrebbero farci il favore di spiegare (quando non convincere) ai Talebani che con queste premesse non si arriva a nulla?
Si, perché è  auspicabile che anche le grandi potenze (su tutte Usa, Cina, Russia), con la mediazione dell’ONU e – perché no – dell’Europa,  facciano valere i diritti del popolo afghano “residuo”, quella maggioranza silenziosa, anzi inerme e “inermizzata”, che vuole restare lì a costruire e ricostruire.
Una delle soluzioni ancora?
Far arrivare sostentamenti in modalità “chirurgica”, cioè solo a poveri e bisognosi,  tralasciando volentieri i governanti non libertari.
L’11 settembre per questi ultimi non conta nulla, per il resto del mondo si. E non possiamo permetterci né che si ripeta  ovviamente, né che si creino le condizioni per atti di morte. Che non sono solo i più plateali attentati
*Ranieri Razzante, Direttore Centro ricerca su sicurezza e terrorismo 
Ranieri Razzante*

Ranieri Razzante*

Dottore commercialista e Revisore dei conti, Avvocato in Roma.
Consigliere per la Cybersecurity del Sottosegretario alla Difesa.
Docente di “Intermediazione finanziaria e Legislazione antiriciclaggio” nell’Università di Bologna (sede di Forlì), e di “Diritto dell’Economia” presso l’Università di Cassino e del Lazio Meridionale.
Docente titolare altresì di “Legislazione antiriciclaggio e antiterrorismo” presso gli Istituti di Istruzione delle Forze dell’ Ordine.
È stato Consulente della Commissione Parlamentare Antimafia.
Fondatore e Presidente dell’Associazione Italiana Responsabili Antiriciclaggio (AIRA). Dirige il “Centro di Ricerca sulla Sicurezza ed il Terrorismo” (CRST) in Roma.
Opinionista TgCom 24 e Rai su tematiche legate alla Sicurezza e alla Geopolitica.
Direttore delle riviste “Diritto penale della globalizzazione” e “Antiriciclaggio & Compliance”.

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