E’ senz’altro il battesimo del fuoco per il bitcoin. La criptovaluta più famosa del mondo arriva al traguardo della “monetizzazione”. El Salvador gli conferisce lo status di moneta a corso legale nel Paese. Tutte le aziende dovranno accettarlo come forma di pagamento, insieme al dollaro USA.
Ogni cittadino adulto che aderirà al progetto governativo riceverà un “airdrop” (bonus) del valore di 30 dollari in bitcoin. L’app da utilizzare si chiama il “Chivo”, e non userà alcun dato mobile, il che significa che gli utenti non dovranno pagare un piano cellulare
Come parte della massiccia adozione di BTC in El Salvador, la società statunitense “Athena” prevede di installare 1.500 bancomat bitcoin, Attualmente, ci sono solo due macchine di questo tipo in El Salvador.
La trasformazione di una criptovaluta in moneta ufficiale non è possibile materialmente in Europa e negli altri Stati del mondo che non decidano unilateralmente di creare un mercato per la stessa. Ma con valenza solo interna all’economia statuale. Il Salvador non potrà regolare in bitcoin, ad esempio, le importazioni, né pretendere bitcoin a pagamento dei beni eventualmente esportati. Non ci possono essere riserve di bitcoin, né una banca centrale che li emetta.
Quale meccanismo di emissione?
Non è chiaro e non è noto il meccanismo di emissione: da quali apparecchi informatici (servono catene di hardware, con costi energetici altissimi) avverrà il cosiddetto “mining”, cioè la creazione delle valute (per l’appunto, da “minatori” di professione o comunque ufficiali)?. Lo farà lo Stato attraverso la Banca centrale? E come? In Salvador non esiste, infatti, un obbligo ad accettare la criptovaluta, e ciò rivela già la prima – ontologica – contraddizione.
L’economia salvadoregna non è certo nota come tra le più floride del mondo, né il suo mercato finanziario è stabile e trasparente. Così come la normativa antiriciclaggio è pressochè inesistente.
Carenza di regolamentazione internazionale
Senza pregiudizi, però, è bene ricordare che ancora, in difetto di regolamentazione internazionale (si pensi al sistema di pagamenti nell’area Ue, con rigide regole per bonifici e carte di credito), così come negli Usa o nelle economie più avanzate, prodotti da scambiare su piattaforme virtuali senza un substrato “fisico” (l’euro ha le riserve auree e valutarie delle banche centrali Ue), non possono per definizione dare garanzie di circolazione, assolvimento pieno degli obblighi valutari, né di saldo di obbligazioni pecuniarie.
Le valute digitali delle Banche centrali
Magari il futuro ci dirà che troveremo una utilità per questi strumenti, mentre, guarda caso, si corre (ha iniziato anche la Bce) alla produzione di valute “digitali”, cioè quelle ufficiali trasformate in portafogli immateriali (si è pensato già per l’euro, lo stato di avanzamento della Cina per lo yuan è ai massimi). Resterà il potere di acquisto e tutte le garanzie per l’euro, ma con quello digitale esso si smaterializzerà, per chi lo vorrà. Dato che la Bce ha più volte ripetuto che il contante non si può abolire.
Un’indagine della Central American University citata dall’emittente Bbc (e da noi ripresa dal Sole 24 Ore) ha rivelato che appena il 4.8% di 1.281 intervistati era al corrente di cosa fosse il bitcoin e di come funzionasse, mentre una quota del 68% si è schierata contro la “legalizzazione” della criptovaluta. Di fronte a questi dati, a chi servirà questa iniziativa.
Ridurre costi e commissioni, facilitare gli invii di denaro e la sua tesaurizzazione?
Dubbi che mi uniscono da sempre ad una folta schiera di economisti ed esperti regolatori scettici. Aspettiamo gli sviluppi, ma il legislatore europeo, ora deve correre un po’ più veloce.
*di Ranieri Razzante
Professore di Legislazione antiriciclaggio – Università di Bologna