Contaminazione è un parola, o, meglio un concetto entrato nel lessico politico e sociale per definire un processo di osmosi tra idee, esperienze, etnie e, quindi, non può essere mai intesa come rinuncia più o meno esplicita alla propria identità.
Nello scenario politico italiano, paradossalmente, l’unico partito più a rischio di disagio è il Pd, che ancora non riesce a definire un proprio profilo strategico ed ideale tanto da subire in due anni scissioni come quella ieri di Bersani e D’Alema oggi di Renzi.
Nonostante queste valutazioni, che rimandano alla fusione a freddo tra post comunisti, ex democristiani, radicali e liberali, nata rachitica, c’erano però sufficienti motivi per confidare che il partito avrebbe salvaguardato almeno il meglio delle sue identità e cioè la difesa delle istituzioni repubblicane, del sistema dei partiti e del pluralismo sociale.
Purtroppo, i primi passi del patto con i Dem e i 5s sembrano deludere queste aspettative.
Dall’inversione di rotta sul taglio del numero dei parlamentari, opportuna in se ma demagogica senza un adeguata riforma della legge elettorale con la reintroduzione delle preferenze, a l’ossessione paranoica del M5s per i partiti come tali, i fatti segnalano un progressivo adeguamento del Pd alle parole d’ordine e agli obiettivi dei pentastellati.
Siamo probabilmente al termine di un processo involutivo che ha fatto propri, a cominciare dagli esordi di Renzi, la demolizione dei partiti come strumenti di mediazione e di sintesi rispetto alle domande e alle tensioni che vengono dalla società, tanto da accettare oggi, senza fare un fiato, il diktat di Di Maio che nega ogni legittimità nelle regioni ove si dovrà votare a candidati alla presidenza espressi dai partiti.
C’è da restare perplessi, perché le subordinazioni ai programmi e alle pretese dei M5s rischia di favorire, prima che Renzi, un centro destra che si presenta con una immagine meno schizofrenica che acquisterà ulteriore slancio e che farà propria la strategia moderata del fondatore di Forza Italia.