L’attacco del 14 settembre scorso all’infrastruttura energetica saudita da parte dell’Iran, o di uno dei suoi alleati, sfida direttamente gli interessi globali degli Stati Uniti dimostrando sia la capacità dell’ Iran di mettere in atto azioni belliche di precisione, causa di notevoli danni, sia che le sanzioni statunitensi non riescono a ridimensionare la strategia iraniana.
All’inizio l’amministrazione Trump era pronta all’azione, ma l’equilibrio ha prevalso e quindi, questa volta, la grande macchina da guerra degli Stati Uniti ha dovuto rimanere in panchina.
Nonostante le rivendicazioni di responsabilità da parte dei ribelli Houthi nello Yemen, i funzionari statunitensi affermano che l’attacco del 14 settembre 2019 a Khurais e Abqaiq era probabilmente opera del Governo Iraniano, anche se i missili da crociera e/o i “droni” utilizzati nell’attacco non sono stati lanciati dal suolo iraniano. Come già detto l’accaduto avrebbe dovuto rappresentare una forte minaccia per gli interessi globali degli Stati Uniti soprattutto perché, eliminando almeno temporaneamente più di un terzo della produzione petrolifera saudita, i prezzi mondiali del petrolio avrebbero subito un incremento di oltre il 10%. Previsione invece del tutto infondata, da parte degli autori del bombardamento, in quanto di petrolio in giro per il mondo ce ne è tantissimo, grazie anche al raddoppio della produzione americana che è arrivata a 12,5 milioni di barili al giorno.
Ma sebbene gli Stati Uniti, grazie all’incremento della produzione interna, siano molto meno dipendenti dalle forniture di petrolio provenienti dal Golfo Persico rispetto a un decennio fa, gli alleati statunitensi in Europa e in Asia rimangono fortemente dipendenti da tali forniture e quindi vulnerabili a qualsiasi interruzione.
A detta di tutti, gli attacchi sono stati inaspettatamente precisi, quasi ad indicare che gli analisti statunitensi hanno forse sottovalutato la tecnologia bellica dell’Iran e la loro capacità di colpire con una precisione chirurgica. Questa capacità dimostra che l’Iran è in grado di diffondere la sua influenza in tutta la regione danneggiando ampiamente gli interessi degli Stati Uniti.
L’esitazione dell’Arabia Saudita a riconoscere immediatamente la responsabilità di Teheran mostra che il Regno è ora circondato da abili alleati iraniani a sud e nord. Le relazioni con alcuni di questi delegati, in particolare con gli Hezbollah libanesi e con le milizie sciite irachene sostenute dall’Iran, sono state curate con successo da Teheran per molti anni. In definitiva l’Iran ha fornito a questi alleati missili a corto raggio, droni, ed altra tecnologia bellica sempre più sofisticata, sino al punto da spingere Israele ad intensificare una serie di bombardamenti contro le spedizioni e le infrastrutture iraniane in Libano, Siria e Iraq.
L’attacco alla raffineria confuta nei fatti le recenti dichiarazioni dell’Amministrazione Trump secondo cui la sua politica di “massima pressione” sull’Iran attraverso sanzioni economiche stia riuscendo a ridurre la minaccia. Washington, purtroppo, ha basato le sue affermazioni su alcuni ipotetici segnali che dimostrerebbero che alleati iraniani, in particolare gli Hezbollah libanesi, stiano attraversando una crisi finanziaria ma, nonostante ciò né l’Iran, né alcuno dei suoi alleati regionali, hanno ridotto le loro operazioni a causa di difficoltà finanziarie. Le sanzioni imposte all’Iran non gli hanno impedito di assistere il regime del presidente siriano Bashar Al Assad nel riconquistare quasi tutto il territorio perso a causa di una ribellione armata. Le sanzioni hanno colpito l’Iran economicamente ma non hanno raggiunto il loro obiettivo previsto, ossia quello di cambiare il comportamento bellicoso dell’Iran.
Il Presidente Trump che inizialmente, per risolvere le più vaste controversie tra Stati Uniti e Iran, parve propenso più ad una rappresaglia bellica tuttavia, in seguito sembrò tornare sui suoi passi adducendo la necessità di un nuovo accordo nucleare con l’Iran . D’altronde non ha ancora escluso categoricamente un possibile incontro con il Presidente iraniano Hassan Rouhani durante le riunioni dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite che si terranno questo mese a New York. Inoltre, ha ribadito che gli Stati Uniti non vogliono una guerra con l’Iran. Le nuove capacità militari e l’intenzione dell’Iran di usarle presentano costi e rischi politici e strategici che il Presidente Trump sembra non voler accettare.
Se l’Amministrazione statunitense sia disposta o meno ad allentare le sanzioni contro l’Iran, nel tentativo di negoziare un nuovo accordo nucleare e al fine di evitare una guerra, rimane una questione aperta.