Le ironiche riflessioni del costituzionalista Alfonso Celotto, tornano ad allietare gli E-Lettori del Premio IusArteLibri. Vincitore dell’edizione 2018 con il romanzo “Il dott. Ciro Amendola, Direttore della Gazzetta Ufficiale”, Celotto anima i salotti giuridici “Lungo il Tevere”, con una divertente raccolta di paradossali iter burocratici. Un bailamme di regole, procedure, responsabili del procedimento, sigle, leggi e circolari in cui l’Italia democratica sguazza e annaspa da anni, tanto da far inserire nei vocabolari l’orribile aggettivazione del linguaggio della pubblica amministrazione “burocratese”.
Dopo gli interventi del Prof. Avv. Giovanni D’Alessandro e delle avvocatesse Emma Tosi, della Camera Penale di Roma e Raffaella de Camelis, dell’Associazione Donne Giuriste, l’autore si diletta nel declamare burocratismi e svelare i misteri del Leviatano che ingoia i cittadini italiani.
La burocrazia è una mostruosa deformazione della democrazia?
La burocrazia è stata pensata quale garanzia di legalità in un modello di Stato incentrato sul primato della legge, ma oggi quell’idea illuministica è fallita. La burocrazia è ormai uno dei maggiori “costi” della nostra esistenza, che favorisce la corruzione e potenzia la disaffezione verso lo Stato. Invano il nostro Legislatore tenta da anni di snellire e rendere efficiente la Pubblica Amministrazione.
Abbiamo fatto progressi in tal senso?
Tutte le miriadi di sigle come RUP, SCIA, DIA, SPID, DPO, PEC sembrano formule magiche che evocano semplificazioni di progresso ed efficientismo in realtà siamo fermi da anni. Per svecchiare l’amministrazione occorre fare una grande operazione culturale: puntare sul vero volto funzionale dello Stato e su giovani risorse che credono in quello che fanno e non su nuovi iter digitalici che trasformano i cittadini in “utenti”.
Il covid ha accelerato questo processo di semplificazione amministrativa e di rilancio della P.A.?
“Vogliamo la riforma della burocrazia e degli ordinamenti giudiziari e la semplificazione della legislazione”. Non è lo slogan di un partito che si presenta alle elezioni del 2020, ma la richiesta di don Luigi Sturzo nel suo Appello ai «liberi e forti» per fondare il Partito popolare nel gennaio del 1919. Il covid ha generato decreti e decretini con misure di assistenza e beneficenza e nuove regole utili solo per la “auto-organizzazione” della P.A Si tratta di misure e di riforme miopi, che perdono di vista il risultato finale: il servizio della Nazione.
Nel famoso Rapporto Gianni sulla P.A. le riforme di 41 anni orsono, le riforme venivano definite “riparazione di ossicini”. Abbiamo speranze per un vero risanamento?
Nell’epoca del digitale, dei social network, dei mezzi di comunicazione immediati, l’amministrazione è ancora fondata sul modello ottocentesco, fatto di protocolli, copie di archivio, lettere di trasmissione, senza controlli efficaci, senza garanzie di produttività. Quando la Pubblica amministrazione funzionerà con la stessa semplicità e speditezza con cui oggi possiamo comprare qualcosa su Amazon, allora si che avremo buon andamento e imparzialità. Altrimenti moriremo seppelliti di carte, carte bollate, timbri e protocolli, forse mandati via PEC (comunque in duplice copia) con firma digitale. Cioè, con le carte a posto. Ma intanto sarà morto lo Stato democratico fondato sulla legalità e burocrazia.