mercoledì, 26 Giugno, 2024
I dialoghi de La Discussione

Una decisione pubblica connessa

Nelle democrazie moderne, il Governo dei processi sociali è affidato alla politica, conformemente ai modelli di rappresentanza e alle forme di statualità. Una politica che non sapesse collegarsi alla società, alla sua capacità d’inventiva e di produzione delle idee, non saprebbe esprimere visione e quindi di operare. E la mente va dunque all’Italia di oggi. Come può il decisore pubblico governare fondando le proprie azioni in assenza dei pilastri cultura, scienza, sistemi produttivi?

UN SISTEMA RAZIONALE DELLA PRODUZIONE DELLE LEGGI
La politica è come un cervello che vive ricevendo sangue e ossigeno, come può operare senza strategie fondate sulla “conoscenza”, senza riforme di struttura adeguate ai tempi, senza integrazione intelligente di investimenti pubblici e privati. Senza tutto questo non esiste una strada per accompagnare il Paese verso gli standard europei. Ogni anno oltre 100.000 giovani lasciano l’Italia per lavorare all’estero, arricchendo i paesi ospitanti a spese del contribuente italiano. Un’Italia che, con le sue grandi tradizioni di cultura e scienza, non garantisca dignità e lavoro ai suoi giovani, e dopo averli formati ai livelli più alti di specializzazione e competenza, si permetta di perderli a favore di altre comunità nazionali, è un Paese che ha avviato il proprio declino.

Nel mio libro L’età del limo, avevo trattato l’argomento di una buona connessione fra politica e società e, per effetto, di una buona legislazione. Lo avevo fatto narrando del mio Assessore e referente politico in Regione Piemonte, a cavallo degli anni ’70/ ’80, Domenico Marchesotti. Fu con lui e in quel momento della mia vita professionale che iniziò la mia esperienza in materia, lì ebbi modo di intuire una grande questione che ancora oggi in Italia non è risolta: l’indifferibilità della costruzione di un sistema razionale della produzione delle leggi e dei provvedimenti amministrativi, del funzionamento delle regole. È una vexata quaestio che risale ai primi anni della Repubblica.

Riporto in corsivo quella pagina del mio dialogo con Domenico Marchesotti per poi trarne alcune conclusioni, alcune in chiave più tecnica seguiranno nell’articolo successivo. Erano le ore 15 del 21 dicembre 1978 ed entravo nell’ufficio del mio capo per comunicargli che il giorno prima mi ero laureato in giurisprudenza. «Le nostre discussioni erano stringate, essenziali, scabre, come il suo carattere e a me andava benissimo. Mi porse i suoi complimenti, poche parole di circostanza. Quindi: «Maurizio adesso tu mi devi fare le leggi!». … Mi assalì un momento di sorpresa e sbigottimento, ma non accusai il colpo. «Va bene. Ti dico allora cosa significa per me fare le leggi». «Ascolto». «Non si fanno scrivendole su un pezzo di carta … è un processo complesso. Prima fase: bisogna coinvolgere… il mondo della cultura e della scienza … le categorie del settore a cui la legge è destinata, gli esperti economici e quelli giuridici. Costituire un tavolo, sia pur flessibile … Fase due, dall’analisi alla proposta … una proposta … condivisa largamente dal settore. … fase tre: … predisposizione del progetto di legge, giuridicamente strutturato. … lo si approva, …  si va in Consiglio Regionale per la discussione …. Lì … il settore interessato è alleato … pressa per la realizzazione del … progetto. Poi se la legge passa in Aula, c’è la fase esecutiva, sulla quale tecnicamente abbiamo già lavorato al tavolo; a quel punto l’applicazione, con alle spalle … consenso sociale, diventa una passeggiata». Marchesotti … appariva soddisfatto: «Bene. Mi piace. Fallo, ho una prima legge da fare così». 

LA DISTANZA TRA POLITICA E CONOSCENZA
L’idea era buona, c’erano buone intenzioni, peccato che le proposte di legge, assai frequentemente, tornassero dal Consiglio Regionale devastate. Ma era un problema generale, nazionale ed oggi non è cambiato molto, sotto il profilo del rapporto con “gli interessi” diffusi nella società, del rapporto con cultura, scienza e produzione. Le buone idee, quelle fondate sulla conoscenza, raramente vengono assunte dalla politica, e, se assunte, vengono danneggiate da presunte pratiche di mediazione politica che poco hanno a che fare con il mondo reale e con l’interesse generale. Una proposta nel prossimo articolo.

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