Dai primi anni Novanta, a causa della crescente corruzione delle leadership locali, l’Africa è diventata terra di conquista non solo delle ex potenze coloniali, ma anche di India, Giappone, Corea del Sud, Malesia, Canada, Russia ma soprattutto, della Cina, che era sbarcata in Africa sotto Mao Zedong già dalla fine degli anni Cinquanta. La sua ideologia comunista lo condusse in Africa per motivi puramente politici, sulla base della solidarietà con le nuove leadership africane ufficialmente riconosciute dalla Repubblica Popolare Cinese.
IL PRIMO PASSO FU LA TANZANIA-ZAMBIA RAILWAY, POI IL SUDAN
Prima significativa iniziativa sino-africana fu la Tazara (acronimo di Tanzania-Zambia Railway), una linea ferroviaria costruita da quasi 20.000 lavoratori cinesi anche se il vero trampolino di lancio della politica espansionistica cinese fu il Sudan. Dal 1999 fu attivato il più importante bacino di estrazione petrolifera per l’esportazione, quello di El Muglad, a 800 chilometri dalla capitale. La produzione di greggio faceva capo al consorzio Greater Nile Petroleum Operating Company (Gnpoc), che aveva come socio di maggioranza la compagnia di stato cinese China National Petroleum Corporation, con il 40% del capitale.
“Il business dell’oro nero – racconta Padre Giulio Albanese nel libro di prossima uscita di autori vari sulla geopolitica africana – ha consentito alle autorità sudanesi di acquistare armi di vario genere soprattutto dalla Cina: munizioni, elicotteri, aerei da combattimento, carri armati e soprattutto mine, come denunciato dall’agenzia Human Rights Watch, impegnata nella difesa dei diritti umani nel mondo”.
Da quel momento si registrano picchi di presenze cinesi in Sudan anche oltre le 80mila unità. Molti di loro, oltre ad essere tecnici e ingegneri, erano militari con il compito di garantire la sicurezza e la difesa degli impianti petroliferi. In alcuni casi si è anche trattato di ex detenuti cinesi ai quali veniva promessa la libertà a condizione che svolgessero servizio di vigilanza con una ferma di almeno 4 anni in territorio sudanese.
I GRANDI DEBITI DELL’AFRICA IN MANO ALLA CINA
Negli ultimi trent’anni la Cina ha continuato a portare avanti una politica di cooperazione molto capillare con i Paesi africani. “La verità è che in questi anni hanno sedotto i governi africani – spiega Padre Giulio Albanese – costruendo strade, dighe e ospedali, non parlando mai di democrazia e diritti umani. Nel frattempo, la Cina ha fatto affari estraendo minerali d’ogni genere e attingendo a piene mani dalle riserve energetiche africane, ricche di idrocarburi”.
Sotto il profilo culturale, la promozione degli Istituti Confucio si sta rivelando l’arma migliore del soft power, il veicolo per accostare le popolazioni africane alla cultura cinese. “Il problema di fondo riguarda il grosso debito contratto dai Paesi africani con Pechino: i prestiti agevolati, ma con interessi, su cui la Cina non può fare sconti. Con ogni probabilità i debiti africani verranno rinegoziati da Pechino Paese per Paese, non foss’altro perché sarebbe contro gli interessi della Cina un default africano”. Un sostegno ribadito dal presidente Xi Jinping il quale, in considerazione dell’emergenza Covid-19, ha promesso la costruzione di ospedali e la realizzazione di una struttura per il controllo delle epidemie, oltre alla condivisione di ogni scoperta sul vaccino.