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I talebani dialogano con la Cina. Nella “tomba degli Imperi” il soft power del Dragone?

sabato, 14 Agosto 2021
1 minuto di lettura

La Cina può far tesoro dagli errori commessi in Afghanistan dagli “imperi” che l’hanno preceduta: zarista, britannico, sovietico e quello della Nato e degli Stati Uniti. Pechino userà non carri armati e bombardieri ma la politica di collaborazione curando attentamente solo i propri interessi e non certo quelli della popolazione afgana che voleva liberarsi dall’oppressione talebana.

È presto per dire come si svilupperanno, ma i rapporti tra i talebani e Pechino sono la vera variabile determinante nel caos afgano.

 

I calcoli dei talebani

Ci sono motivi di reciproco interesse. I talebani non vogliono rimanere isolati nell’area e sanno che non possono contare sul sostegno di altri Paesi confinanti, tutti preoccupati del rischio contagio che la presa di Kabul, ormai imminente, potrà scatenare. Il confine con la Cina è di soli 70Km non spaventa nessuno dei due Paesi, ma i talebani hanno una merce di scambio da offrire.

Pechino è alle prese con la popolazione islamica degli Uyguri dello Xinjiang. La repressione spietata contro questa minoranza etnico-religiosa non ottiene i risultati sperati. Un Paese governato da estremisti islamici come i talebani potrebbe essere per gli Uyguri una sponda e un possibile sostenitore. Per questo i talebani possono offrire a Pechino un patto di non ingerenza nella questione Uygura in cambio di collaborazione economica, tecnologica e sostegno, di fatto, politico.

 

Gli interessi cinesi

Pechino ha un doppio interesse: sigillare la questione Uygura dal possibile sostegno talebano e avere mani libere nello sfruttamento di ingenti risorse naturali dell’Afghanistan, di cui la Cina detiene l’80% dei diritti estrattivi. Inoltre, nell’ambito della strategia della Via della Seta è importante per Xi poter contare sulla disponibilità dell’Afghanistan. E , non ultimo, avere un governo amico a Kabul non potrà che accrescere in quell’area l’influenza cinese e la sua pressione sull’India.

Pechino eviterà l’errore di infilarsi negli affari afgani con la presenza militare: è inutile e sarebbe comunque perdente. Ma eviterà anche di preoccuparsi delle sorti della popolazione che nei 20 anni di presenza americana aveva cominciato a respirare un’aria più libera e sicuramente non avvelenata dalle follie della dittatura islamica talebana. Pechino conosce le regole del gioco delle dittature e non è suo interesse occuparsi di mettere in discussione quella che si instaurerà a Kabul.

 

Le incognite

Le uniche incognite di questa dinamica talebano-cinese sono rappresentate dall’affidabilità degli estremisti islamici e dall’eventuale decisione del resto del mondo di voler isolare i talebani, non riconoscendo il loro governo futuro e creando un cordone sanitario intorno all’Afghanistan.

L’inaffidabilità dei talebani è ben nota: sottoscrivono accordi ma poi fanno di testa loro. Ma è ben nota anche la prudenza di Pechino. Quando alla strategia dell’isolamento essa tutt’altro che certa.

Una decisione di questo tipo potrebbe essere adottata dalle nazioni Unite, ma nel Consiglio di sicurezza la Cina ha il diritto di veto. E non esiterebbe ad utilizzarlo.

Giuseppe Mazzei

Giuseppe Mazzei

Filosofo, Ph.D. giornalista, lobbista, docente a contratto e saggista. Dal 1979 al 2004 alla Rai, vicedirettore Tg1 e Tg2, quirinalista e responsabile dei rapporti con le Authority. Per 9 anni Direttore dei Rapporti istituzionali di Allianz. Fondatore e Presidente onorario delle associazioni "Il Chiostro - trasparenza e professionalità delle lobby" e "Public Affairs Community of Europe" (PACE). Ha insegnato alla Sapienza, Tor Vergata, Iulm e Luiss di cui ha diretto la Scuola di giornalismo. Scrivi all'autore

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