giovedì, 19 Dicembre, 2024
Attualità

Smascherare un reato val bene una privacy

È giusto tutelare la riservatezza delle persone, senza se e senza ma oppure, a determinate condizioni, sacrificare quel po’ che di imperscrutabile rimane in ogni persona, all’interno dei propri telefoni, per contrastare efficacemente il crimine?

Intorno a tale dilemma ruota il dibattito degli ultimi mesi, ovvero se è giusto far rimanere celati i più oscuri segreti di ogni abitante del globo (e contenuti nella vita digitale di ciascuno) oppure permettere alle istituzioni di poter accedere liberamente ai nostri dispositivi alla ricerca di materiale probatorio, così da combattere più efficacemente il crimine.

 

LA MODIFICA DELLA CONVENZIONE DI BUDAPEST
Nella discussione europea sulla sacralità degli smartphone (e sui loro contenuti), lo scorso maggio la Commissione UE ha pubblicato una prima bozza di modifica all’accordo mondiale per il coordinamento nella lotta al crimine organizzato (conosciuto anche come Convenzione di Budapest), provocando non poche perplessità.

Benché ancora allo stato germinale, la bozza ha fatto storcere il naso ai più, prevedendo che le polizie e le magistrature dei Paesi aderenti potranno accedere senza limiti ai dati dei sospettati, anche se conservati in server di altri paesi e – soprattutto – senza l’autorizzazione di un giudice terzo e imparziale.

 

LE FORSE DI POLIZIA POTRANNO ACCEDERE AI DISPOSITIVI? SI, NO. FORS
È tale, infatti, il tenore dell’art. 7, ove viene specificato che “Ciascuna Parte adotta le misure legislative per conferire il potere alle sue autorità competenti di emettere un ordine da presentare direttamente a un prestatore di servizi (leggasi sito Internet, social media o gestore di posta elettronica) in un territorio di un’altra Parte, al fine di ottenere le informazioni in suo possesso circa un abbonato, se tali informazioni sono necessarie per le indagini o i procedimenti penali della Parte emittente”.

Probabilmente alcuni Paesi scinderanno i due momenti, affidando la possibilità agli investigatori di richiedere i dati, lasciando all’organo giudicante l’emissione (o meno) dell’ordine ma, al momento, non è chiaro se con successivi interventi – in nome del contrasto al web selvaggio – si ci dirigerà verso questa soluzione. Un’efficace risposta della giustizia penale

 

Condividi questo articolo:
Sponsor

Articoli correlati

La Commissione Ue bandisce TikTok per sicurezza informatica

Valerio Servillo

Riprendono i colloqui al Cairo, ma in Cisgiordania si alza lo scontro

Maurizio Piccinino

Commercio e agricoltura. Coldiretti: nuove norme anti speculazioni. Premiare i produttori seri e i consumatori

Francesco Gentile

Lascia un commento

Questo modulo raccoglie il tuo nome, la tua email e il tuo messaggio in modo da permetterci di tenere traccia dei commenti sul nostro sito. Per inviare il tuo commento, accetta il trattamento dei dati personali mettendo una spunta nel apposito checkbox sotto:
Usando questo form, acconsenti al trattamento dei dati ivi inseriti conformemente alla Privacy Policy de La Discussione.