Transizione ecologica, forse. Già arenate sul nascere le buone intenzioni e i progetti Green dell’Unione contro gli effetti del cambiamento climatico. Il “Patto Verde”, prevede la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra di almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990. Un percorso ambizioso che prevede una forte unità di intenti dei Paesi membri, che di fatto non c’è.
Paesi dell’Est contrari
Gli schieramenti vedono da un lato i Paesi che hanno dato l’assenso al progetto come Francia, Italia, Spagna, Irlanda e Portogallo, dall’altra parte dello schieramento, diversi Paesi dell’Est europeo. La loro posizione è netta nel rigettare le misure presentate che presuppongano una decarbonizzazione troppo rapida per le loro economie, tra l’altro con centrali che sono solo da chiudere perché non riconvertibili. La disputa non è solo sulle questioni ambientali, perché secondo il primo schieramento favorevole al Green Deal i paesi dell’Est per superare il gap tecnologico e ammodernare le infrastrutture assorbirebbero la maggior parte dei fondi messi a disposizione per la transizione ecologica.
L’Ue sollecita unità
Eppure se si vogliono centrare degli obiettivi resta la necessità di azioni comuni. A chiederlo è Frans Timmermans, vicepresidente esecutivo della Commissione UE e principale artefice delle misure ambientali, “per un futuro verde e sano per tutti saranno necessari sforzi considerevoli in tutti i settori e in tutti gli Stati membri“. In altri versi tutti i Paesi Ue devono dare il via libera alle proposte presentate da Ursula von der Leyen, ma finora dai buoni propositi si è passati alle divisioni e prese di posizione avverse. Tra queste anche quella inaspettata di Thierry Breton, commissario europeo per il mercato interno e i servizi della Commissione europea. L’esponente politico francese avrebbe rimesso in discussione un’intera parte del pacchetto relativo all’energia.